Aida e Radamès sono ormai nella tomba che riunisce il loro amore infelice, mentre la rivale Amnesis medita sulla sua sorte egualmente tragica. «Pace t’invoco… pace t’invoco…», ripetono al termine dell’opera che rappresentava il conflitto tra egiziani ed etiopi. Sotto la direzione di un “quasi immortale” Zubin Mehta, l’Aida viene presentata al Maggio Fiorentino nell’allestimento “contemporaneo” di Paolo Fantin, per la regia di Damiano Michieletto. Momenti di grande emozione, nell’impeccabile rappresentazione: ottimi orchestra e coro, eccellente il cast su cui svettano Olga Maslova sensibile Aida, Seok Jong Baek Radames dotato di notevole voce, di cui sentiremo ancora parlare, Daniela Barcellona che ci regala una meravigliosa Amneris nel travaglio di questo drammatico ruolo, così come gli attori e i figuranti che completano il tutto.
La scenografia ha abbandonato le rive del Nilo, le piramidi e i palazzi faraonici per portarci in un indefinito luogo di guerra in Europa. Al sottoscritto è parso immediatamente che l’ispirazione rimandasse alla palestra della Scuola n° 1 di Beslan, in Ossezia del Nord, dove morirono centinaia di bambini con un certo numero di adulti nell’attacco terroristico del 3 settembre 2004, probabilmente in massima parte per mano delle forze speciali russe intervenute sul posto. Fatto sta che, per gli ultimi avvenimenti in Ucraina, a Gaza, in Libano, in Iran, in Yemen, l’opera di Verdi pare di un’attualità indiscutibile. I cori invocanti la guerra, la distruzione dei nemici, i ghirigori denuncianti il tradimento, gli assoli che richiamano la vendetta paiono scritti oggi, tanta è la loro pregnanza con gli avvenimenti di queste settimane.
L’arte testimonia così che la storia assiste a corsi e ricorsi, che quando la memoria di una guerra cessa di esistere in un popolo per questioni anagrafiche e/o culturali, si torna a pensare che la soluzione bellica sia quella giusta e definitiva, che sia possibile sconfiggere il nemico con le armi e non con la diplomazia. Nonostante gli strumenti digitali, che possiedono potenzialità di memoria mai sperimentate in precedenza dal genere umano, non siamo riusciti a trasmettere alle nuove generazioni l’idea (sperimentata) che dalla guerra si esce tutti sconfitti, perché i vincitori stessi vengono privati di parte della loro umanità. Escono dal conflitto più deboli.
L’Aida in versione Maggio Fiorentino mi sembra poi evidenziare – come già diceva William Shakespeare – che «la vita è un palcoscenico», ripreso poi da un cantante come Elvis Presley o da un sociologo come Richard Sennett. Anzi no, le cose sono cambiate, la vita non è più un palcoscenico ma uno schermo, sul quale pensiamo non solo di rappresentare simbolicamente la realtà, come in un’opera lirica, ma sul quale pensiamo di mostrare l’intera realtà, o addirittura l’iper-realtà. Sullo schermo rendiamo virtuale quello che è reale. Il sangue viene rappresentato, è fotografato, filmato e moltiplicato all’infinito, come in una camera di specchi, ma senza che se ne possa sentire l’odore sotto le unghie, come un incancellabile profumo disgustoso e dolciastro di morte: chi ha visto la guerra dal vivo, sa di cosa si parla quando si parla di un tale effluvio.
Ma sullo schermo, le trovate sceniche di presidenti e generali, la rappresentazione di bombardieri apparentemente invincibili ed esteticamente accattivanti, la vittoria millantata ma non provata, il delirio di onnipotenza che conquista i cuori dei potenti sono virtualità, mentre i morti di Gaza sono reali, e così quelli nei sobborghi di Tel Aviv, o ancora le vittime di Kharhiv, le file di bare dei soldati ucraini e russi scambiate dai belligeranti, il caldo afoso e il freddo pungente nel Donbass senza elettricità… C’è una dissociazione tra la politica dei forti, che fa spettacolo virtuale, e la gente reale che soffre sul serio per la guerra. Anzi, direi di più: l’arte è vera nella sua rappresentazione simbolica del reale, mentre la rappresentazione virtuale degli schermi – che non è più simbolica, perché cerca di mettere in contatto con la totalità della realtà, cosa impossibile – si riduce a pura falsità. La guerra, purtroppo, è stupida e reale.