La trappola del debito pubblico

La dinamica debito/interessi è un circolo vizioso che non può essere più assecondato.  Ecco perché occorre ridiscutere le regole del Trattato di Maastricht che rendono impossibile ogni politica di giustizia sociale e redistribuzione del reddito. L'opinione del coordinatore di Attac Italia
ANSA/ARNE DEDERT/GID

Se è vero che l’Europa Unita è stata da sempre pensata come un progetto neoliberale, è altrettanto vero che, con il Trattato di Maastricht, ogni possibile dialettica tra dottrina liberista e politiche redistributive di tipo keynesiano è stata definitivamente accantonata, per imporre un’integrazione continentale basata unicamente su una “economia di mercato aperta e in libera concorrenza”.

Con Maastricht, sull’onda della caduta del Muro di Berlino, avvenuta solo due anni prima, e nel pieno dispiegarsi della dottrina liberista sulla “fine della storia”, si avvia il processo per la costruzione dell’Unione economica e monetaria europea, basata su Stati che devono avere come unico obiettivo “condizioni finanziarie e di bilancio sane ed equilibrate”.

Il conflitto in atto fra vincoli monetaristi imposti dall’Ue, che considerano i diritti come variabili dipendenti dai profitti, e la Costituzione italiana che afferma l’assoluta priorità dei diritti fondamentali, ci dice chiaramente che, senza una drastica inversione di rotta che metta in ridiscussione l’Europa da Maastricht in avanti, nessun progetto di Europa diversa sarà possibile.

Oggi il vero nemico dell’Unione Europea è essa stessa. L’aver voluto assecondare le politiche liberiste e i processi di finanziarizzazione della società ha comportato la messa in discussione dell’originalità stessa del progetto europeo, quella basata sullo stato sociale come compromesso nel conflitto fra capitale e lavoro, mettendo tutti di fronte ad una falsa alternativa: stare con l’establishment economico-finanziario o schierarsi con il sovranismo nazionalista; alternativa falsa, perché entrambi condividono il terreno delle politiche liberiste e di austerità e competono solo su quale dev’essere il centro di comando da cui le stesse si dipanano.

Il risultato è un’Europa che allarga le diseguaglianze al proprio interno, che non preserva dalle guerre i Paesi che la compongono (vedi Ucraina), che risponde ferocemente alla questione epocale della migrazione.

Per uscire dall’impasse, l’unica possibilità è quella di mettere radicalmente in discussione la narrazione neoliberale che oggi si dispiega con la trappola del debito pubblico, camicia di forza per ottenere la rassegnazione delle popolazioni alla prosecuzione delle politiche di precarizzazione del lavoro, privatizzazione dei servizi pubblici, mercificazione dei beni comuni ed espropriazione della democrazia.

Uscire dalla trappola del debito significa in primo luogo dire che la dinamica debito/interessi è un circolo vizioso che non può essere più assecondato (dal 1980 ad oggi, in Italia abbiamo già pagato miliardi di euro di interessi su un debito che, nonostante questo, rimane di 2.300 miliardi) ; significa congelare da subito il pagamento degli interessi per utilizzare quelle risorse per garantire i diritti fondamentali delle persone (come dice l’art. 103 della Carta dell’Onu); significa chiedere una conferenza europea che abbia l’obiettivo di ridurre drasticamente, fino ad azzerare, la questione del debito pubblico (come si è fatto per la Germania, uscita dalla seconda guerra mondiale con un rapporto debito/pil del 573%); significa ripensare ad una finanza pubblica e sociale al servizio dei bisogni delle comunità territoriali e ad una politica di forte controllo sui movimenti dei capitali finanziari.

Si tratta, in definitiva, di un processo di riappropriazione della democrazia, oggi progressivamente trasformata in rito elettorale formale di fronte ad un universo finanziario che utilizza le istituzioni per espandere la propria sfera di influenza sulla società.

Di fatto, oggi un insieme di società bancarie e finanziarie, con la complicità delle istituzioni politiche, cerca di costruire una nuova costituzione normativa internazionale (attraverso i trattati di libero scambio) e nazionale (attraverso la trappola del debito e i vincoli di stabilità), ponendo il “pubblico” al proprio servizio invece che al perseguimento degli interessi generali.

Di fronte a tutto questo, l’unica alternativa è la riappropriazione, a partire dal basso e da ogni territorio, di ciò che ci appartiene: diritti, beni comuni, ricchezza collettiva, una nuova economia ecologicamente e socialmente orientata, democrazia.

Marco Bersani è Coordinatore  di Attac Italia

Sulla questione Debito pubblico leggasi per il dibattito il contributo di Benedetto Gui

 

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