Il gran cimitero d’acqua

Riprendono gli sbarchi nel Sud Italia e il soccorso di Frontex nel Canale di Sicilia. S’annuncia un’estate di tragedie. E noi che facciamo?
Canale di Sicilia © Michele Zanzucchi 2015

Inutile ricordare la lunga sequela di tragedie del mare che hanno aggiunto nuove tombe sul Mediterraneo. Leggiamo i titoli, guardiamo le immagini ai Tg, ci indigniamo e poi continuiamo a mangiare come se niente fosse. I media hanno una straordinaria capacità di portarci nel vivo della tragedia e poi di riposizionarci nel nostro tinello casalingo.

 

Quello che volevasi dimostrare avviene: chiuso il canale turco-greco turandosi naso, occhi e orecchie, si riapre il canale italo-libico. La composizione della lista passeggeri cambia: meno Siria, meno Iraq, meno Afghanistan, più Somalia, più Gambia, più Eritrea, più Sudan. Ma la sostanza non cambia. Uomini e donne, e tanti bambini, cercano una qualche liberazione correndo rischi da cardiopalmo. Le piccole bare bianche s’allungano accanto alle bare degli adulti. Insopportabile.

 

Ogni giorno ha la sua giustificazione: lo scarso potere di el Sarraj, la crescita del potere dell’Isis, lo scarso controllo degli egiziani… Si cercano le ragioni momentanee, rassicuranti, ma non si vuol capire che l’ondata migratoria non è un accidente con ragioni locali, ma ha ragioni globali: guerre militari, guerre economiche, guerre ecologiche. Dal Sahara occidentale fino all’Afghanistan, lungo un arco che passa per Somalia, Iraq e Belucistan, non c’è Paese che non dia ragione ai suoi abitanti per espatriare “cercando felicità” in Europa. L’ondata è irrefrenabile. Va regolata, va gestita per evitare la tragedia quotidiana. È una questione politica. E umanitaria.

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