Tutti in piazza

Alla scoperta dei giochi di strada: quando gioco e sport si legano a storia e tradizioni.
Sport

Fiolet, ruzzola, ruzzolone e ruzzola del formaggio, tsan, birilli catalani, rebatta, lippa, tiro alla fune, calcio storico fiorentino, morra, nizza, trottola mantovana: questi giochi sportivi ed altri analoghi sono ignorati dai mass media, non richiedono abbigliamento né attrezzatura di particolare tecnologia, non hanno sponsor né contratti. “Giochi di strada” è il nome che accomuna queste attività popolari tradizionali che per fortuna sono dure a morire, anche grazie ad una umile, ma appassionata federazione italiana (www.figest.it) che li tiene diligentemente in vita. Il loro valore va ben aldilà della loro genuina semplicità: essi testimoniano brani di storia regionale, momenti di svago e di aggregazione popolari, una sana competizione campanilistica di cui a volte sembra si sia perso il gusto.

Se vi fosse capitato di imbattervi in una rassegna come quella offerta a fine ottobre a Roma, nella impareggiabile cornice dei Fori Imperiali, capireste che non è la nostalgia a tenere viva la loro memoria, ma il singolare interesse che riescono a suscitare in chi vi si avvicina, comprese, sorprendentemente, le nuove generazioni.

Non si spiegherebbero altrimenti le oltre venti mila persone accorse a vedere da vicino, ma soprattutto a volersi cimentare, in questi intramontabili giochi popolari.

 

Se tutti capiscono al volo cosa sia il tiro alla fune, ma rimangono sempre affascinati dalla sapiente simultaneità impressa allo sforzo da parte dei contendenti, non sono pochi quelli che si avvicinano incuriositi, ad esempio, al settore dei giochi della tradizione valdostana. Qui si impara, anzitutto, il loro capostipite, il fiolet: una pallina ovoidale (il “fiolet”), appoggiata sopra una grossa pietra di fiume alta almeno 20 centimetri (la “pira”), deve essere dapprima delicatamente fatta balzare in aria da un bastone (la “eima”) tenuto con una sola mano per poi essere colpita di nuovo e scagliata il più lontano possibile. In Val d’Aosta ne esiste traccia già dalla fine del 1800, e “baculot” era il suo nome Oltralpe.

Abbastanza simile è la rebatta: il sostegno non è una pietra, ma una pipa di legno, e il bastone si maneggia con due mani. In altre regioni è la lippa a farla da padrone: in questo gioco il bastone deve colpire e lanciare il più lontano possibile, sempre in due successivi colpi, un legnetto fusiforme.

Più semplice è il palet, succedaneo delle bocce: una piastrella metallica di circa un chilo deve essere lanciata di precisione il più vicino possibile al “bolìn”, una piastrella più piccola e colorata.

Più complesso è lo tsan: la pallina da colpire con un bastone è posta in equilibrio su un ramo infisso obliquamente al suolo; nel campo davanti al battitore sono disposti i 12 giocatori avversari che devono intercettare la pallina con una tavoletta di legno (il “palet”). Il susseguirsi dei lanci da parte di tutti i giocatori delle due squadre può richiedere dalle due alle quattro ore: non desta meraviglia che una provvidenziale degustazione di vini e prodotti tipici accompagni l’evento. Le immagini d’epoca testimoniano che nella sua pratica si cimentavano con passione anche nobili ed intellettuali. E che il baseball forse l’abbiamo inventato noi.

 

Fra le mura e le colonne imperiali si muovono divertiti i catalani, proponendo due varianti di giochi di birilli: una si avvicina al bowling, ma la boccia è rigorosamente ancora di legno; l’altra affida l’abbattimento dei birilli ad una piccola mazza, sempre in legno, ed uno dei sei birilli disposti sul campo deve restare in piedi. Nelle feste di paese se ne conserva intatta la tradizione da oltre 600 anni.

È il profumo del formaggio ad attirare verso lo spazio dedicato alla ruzzola di cui si conserva invece la pratica dall’Emilia al Lazio.

«Il gioco era praticato già dagli antichi Etruschi – ci spiega con entusiasmo un assiduo praticante ciociaro dalle chiare fattezze contadine –. Nella tomba dell’Olimpiade di Tarquinia è raffigurato il cosiddetto discobolo, la cui posizione in realtà è quella tipica di chi stia lanciando una forma di formaggio. Infatti, in origine, i pastori lanciavano lungo i tratturi una forma di formaggio pecorino stagionato, molto duro e resistente». La dimostrazione che ci offre con una forma di formaggio da quasi venti chili è più che esauriente.

Per evidente semplificazione oggi la ruzzola è praticata lanciando un disco in legno di 13 centimetri di diametro (26 per il ruzzolone): il lancio, come per il formaggio, avviene grazie alla rotazione impressa alla ruzzola da uno spago, o da una fettuccia, pazientemente avvolto attorno ad essa di cui un capo è tenuto saldamente in mano dal giocatore. In omaggio alle zolle sempre scomposte dello stadio di San Siro, le gare si svolgono su campi delimitati (i “treppi”), appositamente studiati per rendere il gioco più movimentato, con salite, curve ed ostacoli. Il gioco, che può avanzare per chilometri, viene praticato anche su prati, campi e strade, asfaltate o meno. «Il parmigiano reggiano è quello che tiene meglio la strada – ci confida un esperto che sceglie l’anonimato –, mentre le altre caciotte tendono a saltare».

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