«La Siria è diventata un campo di battaglia per le rivalità geopolitiche (Usa, Russia, Iran, Turchia, Stati del Golfo). La Siria è molto ricca in risorse naturali come il petrolio, gas naturale e fosfato». Bastano questi pochi dati di fatto a Robert Chelhod per spiegare quello che sta accadendo da troppo tempo nel Paese del Medio Oriente devastato da lunghi anni di guerra e ora impegnato in una controversa fase di transizione successiva alla caduta del regime di Assad avvenuta tra il 7 e l’8 dicembre 2024, con la presa del potere di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), un gruppo sunnita di matrice jihadista che ha il sostegno diretto della Turchia e quello indiretto degli Stati Uniti.
Senza voler entrare nella ricostruzione storica delle vicende remote e attuali della Siria, abbiamo parlato con Robert per cercare di conoscere la grande capacità di resistenza della popolazione e l’attività ininterrotta delle organizzazioni umanitarie e solidali presenti nel Paese, come l’associazione Semi di Speranza che gestisce progetti sociali sostenuti da Amu, Missio, Kindermissionswerk e Ohana. Chelbod, focolarino, è un cristiano appartenente alla Chiesa siro-cattolica.
Lo abbiamo intervistato durante un suo recente viaggio in Italia, dove ha incontrato ragazzi delle scuole e associazioni attive nel sostegno all’attività umanitaria che porta avanti a partire da Aleppo, la sua città conosciuta per essere una delle più antiche al mondo.
Robert conosce molto bene la realtà del suo Paese nel più ampio scenario di quello che è per noi, in effetti, il vicino Oriente. «Tengo a precisare che la nostra situazione in Siria, così come in tutto il Medio Oriente, è estremamente complessa da decenni, se non da secoli, ed è difficile per chi vive al di fuori della regione coglierne tutte le sfumature». «Il Paese deve rinascere da sottozero e per questo ci vuole tanto tempo. Mancano – ci dice – le infrastrutture statali a tutti i livelli. Mancano i soldi, i fondi internazionali da offrire gratuitamente senza che ci siano dietro degli interessi geopolitici ed economici».
… come è accaduto in questi anni alle comunità cristiane presenti in Siria?
Durante oltre 14 anni di conflitto, molti cristiani sono fuggiti in Europa, Libano o Canada, riducendo drasticamente la loro presenza nel Paese, passando da un milione e 550 mila persone agli attuali 350 mila! Ma la nostra presenza in questa regione è sempre più importante per alimentare il dialogo interreligioso e costruire una cultura di pace.
Oltre la devastazione della guerra, cosa ha pesato di più sulla vita della popolazione civile?
Occorre ribadire un fatto poco noto sui media e cioè che le sanzioni internazionali adottate per colpire i regime di Assad hanno stremato l’intero Paese ridotto in ginocchio per mancanza di risorse economiche, assenza di investimenti e di conseguenza dei rapporti di esportazione e importazione dall’estero. Ciò ha portato ad avere stipendi bassi, un costo della vita altissimo con relativa crescita vertiginosa della povertà e l’aumento della corruzione.
Malgrado tutto esiste una forte capacità di resistenza. Come avete fatto?
Il popolo siriano ha sopportato enormi sofferenze grazie a resilienza, strategie di sopravvivenza e aiuti esterni. A livello locale le famiglie e le comunità si sono aiutate a vicenda, anche nelle zone più colpite dalla guerra. Molti hanno trovato nuove forme di sostentamento, come l’agricoltura di sussistenza o il commercio informale. Il popolo siriano di natura è resiliente, la storia lungo i secoli lo dimostra. Il nostro è un popolo semplice che si accontenta di poco ed è molto solidale. Pensiamo al fatto che milioni di siriani sono fuggiti in Libano, Giordania, Turchia ed Europa, mentre altri hanno vissuto in campi profughi. Eppure anche coloro che sono emigrati in condizioni difficili in Europa, USA, Paesi del Golfo, ecc., sono riusciti a mandare denaro alle loro famiglie. Piccole somme ma che possano aiutano a sopravvivere.
E gli aiuti dall’esterno?
Ong, agenzie dell’Onu e organizzazioni religiose (particolarmente cristiane) hanno fornito cibo, cure mediche ed educazione. Il sostegno della Chiesa è stato molto importante. Vari organismi cristiani si sono dati da fare, in particolare dall’Europa.
Come è stato possibile, in particolare, gestire la rete di solidarietà dell’Amu?
Organizzare reti di solidarietà in una zona di guerra richiede coordinazione, fiducia e supporto internazionale assieme a collaborazioni sul territorio. Tutte le realtà attive hanno dovuto modificare continuamente le strategie a causa dei cambiamenti nelle zone di conflitto. L’Amu e le altre Ong hanno lavorato con partner locali e Chiese di diverse confessioni per distribuire gli aiuti in modo efficace e per implementare progetti di sviluppo, di promozione e di formazione. È da ricordare inoltre il contributo della diaspora dei siriani presenti all’estero che hanno sostenuto finanziariamente molti progetti umanitari.
Un forte lavoro di squadra, dunque, in un contesto difficilissimo…
Già, proprio così, e c’è da tener presente un fatto molto importante da cogliere come segno di speranza. Le organizzazioni cristiane, musulmane e laiche hanno collaborato per aiutare tutti, senza distinzione religiosa. In questo campo, c’è stata una vera testimonianza da parte dei cristiani (più organizzati) verso i loro fratelli mussulmani. L’80% del totale dei beneficiari dei progetti vari sono musulmani.
Cosa significa appartenere a una minoranza cristiana in un contesto prevalentemente islamico?
Per i cristiani in Siria, la vita è stata caratterizzata, da secoli, sia da coesistenza che da sfide. La Siria ha una lunga tradizione di pluralismo religioso. I cristiani, in particolare, sono sempre stati attivi nel commercio, nell’industria e nell’istruzione. Purtroppo, negli ultimi decenni, c’è stato poco impegno diretto in politica. Ma, senza nessun dubbio, la convivenza multireligiosa era quasi sempre possibile senza grosse difficoltà. Il regime di Assad, diretto da una minoranza, gli alauiti, proteggeva le minoranze. A noi cristiani, non piace farci chiamare “minoranza”, ma il sentimento era tale, questa è la realtà. Ora i cristiani chiedono di essere considerati laicamente come tutti gli altri cittadini, con gli stessi doveri e diritti. Loro richiedono uno Stato civile e laico che rispetta i diritti di tutti i cittadini, senza nessuna esclusione.
Cosa accade nella società siriana in questa delicata fase di transizione e quali segnali di cambiamento si attendono?
Da quando è caduto il regime di Assad, tanti gruppi e associazione si muovono liberamente (questo non era possibile prima), si incontrano, dialogano, per contribuire in un modo o in un altro alla costruzione della nuova Siria. Ci sono varie tavole rotonde, con la presenza di esperti, cristiani e musulmani, che cercano di leggere e analizzare la situazione oggi, e proporre delle visioni per il futuro, in modo particolare per la nuova Costituzione della Siria. Si tratta di capire se, come promesso, si arriverà alla formazione di un governo di transizione con larga rappresentanza, lo svolgimento del Congresso nazionale, con la formazione della Commissione legislativa, la stesura della nuova Costituzione e infine le elezioni del nuovo Parlamento con l’elezione del presidente della Repubblica.
Una bella sfida che va sostenuta dalla società civile internazionale…
È quello che speriamo e credo che, come cristiani, siamo chiamati ad essere lievito e sale della terra, cioè un vero ponte di umanesimo e dialogo tra le varie componenti della società siriana. Dobbiamo vivere assolutamente, ora più che mai, la prossimità con tutti, essere vicini a tutti, proprio come il buon samaritano, ascoltare, accompagnare, aiutare e curare chi soffre.
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