Il Pakistan ha annunciato che candiderà Donald Trump al Premio Nobel per la Pace 2026 per il suo recente intervento nel conflitto India-Pakistan. Lui, il tycoon, si schermisce così: “Avrei dovuto ottenerlo quattro o cinque volte. Non mi daranno il Premio Nobel per la Pace perché lo danno solo ai progressisti”. Ma si capisce che ci terrebbe molto ed è dispiaciuto che gli venga negato un riconoscimento che a suo dire gli spetta di diritto per i meriti diplomatici ottenuti mediando la pace in numerosi conflitti. Tra parentesi: l’India dice che non c’è stato nessun intervento pacificatore di Trump.
E le bombe da 13,6 tonnellate (ciascuna) sganciate sui 3 siti nucleari iraniani il 22 giugno dagli USA? Secondo il presidente statunitense c’entrano, anzi sono state usate come strumenti di pace. Come spiega il suo grande alleato Bibi Netanyahu: “Io e il presidente Trump diciamo spesso: la pace attraverso la forza. Prima viene la forza, poi viene la pace. E stasera il presidente Trump e gli Stati Uniti hanno agito con molta forza”. E più avanti prosegue: “La storia ricorderà che il presidente Trump ha agito per negare al regime più pericoloso del mondo, le armi più pericolose del mondo. La sua leadership ha scritto una pagina di storia che può aprire al Medio Oriente un futuro di prosperità”. Prosperità di chi non è precisato.

Il presidente degli Usa Donald Trump, foto Ansa, EPA/JIM LO SCALZO
E temo che non siano gli unici due leader politici a ritenere che la pace sia il frutto maturo della guerra (cioè di potere, menzogna, violenza e morte. Ma questo lo dico io). Si vis pacem para bellum: Vegezio, funzionario imperiale del V secolo, è preciso: “Chi aspira alla pace, prepari la guerra”. Vegezio profeta del trumpismo o trumpismo di ispirazione neo-imperiale?
Per quanto mi riguarda, spero che il Comitato del parlamento norvegese che designa ogni anno il vincitore del Nobel per la Pace, valuti attentamente se – premiando Trump – potrebbe provocare la fine dell’Onu che è ormai vicino alla totale insignificanza, come più in generale il Diritto internazionale.
Nei giorni scorsi, nel pieno della “Guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran (che Trump avrebbe interrotto “per sempre”, dopo averla sostenuta), 21 paesi, arabi e non, tenaci o senza altre prospettive, hanno ripresentato all’Onu una mozione per stabilire una zona del Medio Oriente libera da armi nucleari e di distruzione di massa, se non altro per “suggerire” che il problema non starebbe unicamente nel “regime più pericoloso del mondo”, cioè l’Iran, ma magari anche in chi governa i paesi contrari e quelli astenuti della votazione Onu 2021: l’idea, presentata infatti fin dal 1974 e sempre approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ma senza alcuna conseguenza pratica, era stata riproposta nel 2021 con questo esito: favorevoli 178 stati, contrari 1 (Israele), astenuti 1 (Usa).
Comunque, i 21 paesi firmatari della mozione presentata nei giorni scorsi (tra i quali anche paesi che aderiscono agli Accordi di Abramo o che hanno da tempo trattati di pace con Israele) sottolineano “l’urgenza di creare una zona libera da armi nucleari e altre armi di distruzione di massa in Medio Oriente, che si applichi a tutti gli Stati della regione senza eccezioni”. Vale a dire Israele compreso, che di ordigni nucleari ne avrebbe, si valuta, tra 90 e 400.
Ma chi sono i 21 paesi firmatari? In un elenco alla rinfusa sono: Qatar, Oman, Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Libia, Kuwait, Iraq, Giordania, Emirati Arabi, Bahrein, Turchia, Gibuti, Somalia, Mauritania, Algeria, Sudan, ma anche Brunei, Ciad, Gambia e Comore. Da notare che c’è anche il Pakistan, che l’atomica ce l’ha ma, assicura, “solo” come deterrente in funzione anti-India.