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Se vuoi la pace prepara la guerra?

di Carlo Cefaloni

- Fonte: Città Nuova

Carlo Cefaloni

Giorni decisivi per l’approvazione del Piano di riarmo europeo e i nuovi obiettivi della Nato condivisi dal governo italiano. Occorre invece un Ministero della pace secondo alcune associazioni cattoliche. La proposta di una nuova conferenza di Helsinki come prospettiva di una reale alternativa politica

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni posa per la foto di famiglia durante il vertice Nato a L’Aja, 25 giugno 2025. ANSA/Filippo Attili – Uff stampa Palazzo Chigi + UFFICIO STAMPA, PRESS OFFICE, HANDOUT PHOTO, NO SALES, EDITORIAL USE ONLY + NPK

È stata come al solito molto schietta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nella risposta finale durante le comunicazioni dovute alla Camera in vista dell’imminente Consiglio europeo del 26 e 27 giugno, che si svolgerà in continuità con il summit della Nato in corso all’Aja dal 23 al 26 dello stesso mese.

Appuntamenti già programmati per certificare l’assetto definitivo alla strategia occidentale, che si appresta a ratificare l’impegno dei membri dell’Alleanza atlantica di raggiungere l’obiettivo di arrivare al 5% del Pil da destinare alle spese militari assieme alla scelta dell’Unione europea di destinare, forzando le regole sull’indebitamento pubblico, 800 miliardi di euro ad un piano di riarmo dei singoli Paesi.

L’obiettivo temporale è quello del 2035, anno in cui si prevede, nei documenti ufficiali, la reale possibilità per la Russia di estendere verso altri Paesi europei le sue pretese di espansione manifestate con l’invasione dell’Ucraina.

Vertice Nato a L’Aja, 25 giugno 2025. ANSA/Filippo Attili – Uff stampa Palazzo Chigi

In un messaggio privato che Donald Trump ha reso noto prima di volare in Olanda, il segretario generale della Nato, Mark Rutte, ha assicurato al presidente Usa che «l’Europa pagherà il suo contributo in modo consistente». L’ex premier olandese è anche visibilmente contento e convinto dell’esito annunciato dei due vertici che vengono a cadere mentre la situazione in Medio Oriente si è aggravata con l’azione militare di Israele, sostenuta da Washington, contro l’Iran. Un tipico casus belli in grado di scatenare un conflitto di dimensioni mondiali, con effetti a catena difficilmente controllabili e che richiederà sempre più il coinvolgimento del nostro Paese collocato nel centro del Mediterraneo come una piattaforma militare.

L’azione unilaterale di Tel Aviv è evidentemente fuori da ogni legge, dato che il Consiglio di Sicurezza non ha autorizzato alcuna azione militare contro l’Iran, ma è vista da alcuni come uno stratagemma per spostare l’attenzione sulla carneficina in corso a Gaza, dove la popolazione stremata viene colpita a morte mentre è in fila per il pane, e attenuare così lo scandalo dell’opinione pubblica mondiale verso una tragedia che appare senza fine, con gravi responsabilità del governo Netanyahu.

Le parole del capo dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), Rafael Grossi, (“Mai detto che l’Iran stia costruendo la bomba nucleare”) hanno contraddetto apertamente la tesi di Israele e Usa sulle ragioni di un intervento armato preventivo contro Teheran, riportando alla mente le false prove esibite dagli Stati Uniti per legittimare la guerra contro l’Iraq nel 2003.

Al momento l’unico Paese in possesso di armi nucleari in Medio Oriente resta Israele, anche se non lo dichiara ufficialmente, seguendo il criterio dell’imprevedibilità della reazione (“logica del cane pazzo”) teorizzato dal generale Moshe Dayan.

Lo spettro della guerra nucleare, nonostante la tregua annunciata, vede l’Italia direttamente coinvolta non solo per la presenza di tali ordigni negli aeroporti di Aviano e Ghedi, ma anche per la presenza sul nostro territorio di circa 120 basi militari Nato e Usa di notevole importanza strategica e operativa.

Un gruppo di giuristi ha lanciato un forte appello a non permettere che l’Italia autorizzi l’uso di queste basi a sostegno della guerra di Israele contro l’Iran che avviene, evidentemente, fuori da ogni autorizzazione dell’Onu. Sulla questione grava la segretezza degli accordi vigenti sull’uso di tali basi militari e il ruolo effettivo del Parlamento, che andrebbe comunque coinvolto in una decisione così importante. Di certo esistono gli estremi per convocare al Quirinale il Consiglio supremo di Difesa.

Il precipitare degli eventi allarma le cancellerie internazionali a partire dalla Santa Sede; si spiega così l’inaspettata esternazione del segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin, a favore della manifestazione di Stop Rearm Eu che si è svolta a Roma il 21 giugno 2025 mentre a San Pietro si celebrava il Giubileo dei governanti.

Parolin ha collegato esplicitamente l’impegno contro il piano di riarmo europeo con il messaggio centrale del Giubileo sul disarmo e il condono del debito dei Paesi poveri. Come al solito, la manifestazione romana ha ricevuto attenzione sui media solo per le diatribe interne ai partiti politici del centro sinistra (il Pd si è spaccato) e non alle oltre 400 associazioni promotrici, tra cui le Acli, che hanno definito una piattaforma distinta da una contemporanea iniziativa della rete Disarmiamoli.

Manifestazione Stop Rearm Eu 21 giugno 2025. Foto di Alfredo Scognamiglio

Il nodo della critica verso il piano di riarmo europeo e la crescita della spesa militare richiesta dalla Nato è incentrato sull’impostazione del progetto finalizzato agli interessi delle imprese di armi e non alla sicurezza comune. L’Osservatorio Mil€x sulle spese militari italiane, ad esempio, ha quantificato in 100 miliardi l’aumento della spesa annuale dell’Italia in difesa e sicurezza richiesto dal raggiungimento dell’obiettivo Nato del 5% del Pil. È questo il “salto quantico” richiesto dalle scelte derivanti dal principio espresso dalla presidente del Consiglio vis pacem para bellum e che guida la Commissione von der Leyen.

Nel suo discorso alla Camera la Meloni ha precisato che «finché questo Governo sarà in carica, l’Italia rispetterà questi impegni necessari, restando un membro di prim’ordine della Nato».

Una presa in carico di un progetto decennale che richiederà un forte impegno di spesa pubblica, a debito, per la trasformazione progressiva dell’economia in assetto di guerra davanti ad “una minaccia esistenziale” esplicitamente individuata nell’espansionismo russo e, in prospettiva, nella crescita della Cina, ben descritta nel documento strategico della Nato approvato a Madrid a giugno 2022 e che verrà riconfermato, dopo 3 anni, nel summit dell’Aja.

In questo scenario si è tenuto a Roma un incontro pubblico per sostenere la creazione di un Ministero della pace, una richiesta che trova la sua origine nell’intuizione di don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23). Iniziativa che trova il patrocinio della Fondazione Fratelli tutti ed è sostenuta da decine di associazioni e movimenti cattolici, tra cui quello dei Focolari in Italia.

Come ha detto Emiliano Manfredonia, presidente delle Acli promotore dell’incontro assieme ad Azione Cattolica e Apg23, «viviamo in un’epoca davvero difficile, la spirale della guerra sembra non fermarsi, le tensioni internazionali e un crescente clima di paura rischiano di normalizzare il conflitto e la violenza come strumenti di gestione politica. Dobbiamo smettere di farci ingannare da chi sostiene che la guerra sia necessaria. La pace non si costruisce con la paura e il riarmo, ma con il dialogo, la cooperazione e la giustizia sociale».

Proprio per dare questa prospettiva, si sono mosse da tempo diverse reti e centri di ricerca, a cominciare dalla Fondazione Basso,  che il 27 giugno si riuniranno all’istituto Sturzo di Roma per riprendere l’iniziativa di un Helsinki 2, cioè l’attualizzazione della «Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e cooperazione in Europa, che il 1° agosto 1975 inaugurò quella politica di superamento della contrapposizione frontale della guerra fredda che è stato chiamato il dialogo est/ovest».

Una direzione di marcia opposta alla direttiva di cercare la pace attraverso il riarmo, ma che ha bisogno di prese di posizione esplicite e concrete per non restare una mera dichiarazione di intenti di fronte a scelte che sembrano ormai avviate su un piano inclinato.

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