Fare “comunità” attorno ai rifiuti

Il caso napoletano visto da Bruxelles.
Rifiuti

Vista da Bruxelles, la questione dei rifiuti a Napoli sembra piuttosto fredda e “burocratica”. A chi non conosce a fondo le problematiche che hanno portato a non aver ancora individuato una soluzione accettabile dopo tutti questi anni, il quadro appare tanto incomprensibile quanto semplice: l’Italia non sta rispettando la sentenza della Corte di giustizia europea del marzo scorso, per cui la Commissione sarà obbligata a chiedere l’applicazione di una sanzione pecuniaria se non verranno adottate misure adeguate.

 

Eppure il commissario Ue all’ambiente, Janez Potočnik, nel commentare la relazione ricevuta dalla delegazione inviata in Campania, ha lanciato una frecciatina oltre le dichiarazioni di rito. Ha infatti affermato che «è molto importante che il nuovo piano di gestione dei rifiuti sia il risultato di un processo pienamente inclusivo e trasparente, al fine di creare un vasto senso di condivisione e di ottenere il sostegno di tutti i cittadini della regione». Saranno pure belle parole, ma l’idea di “fare comunità” attorno ad un sacchetto di immondizia, per quanto possa apparire tristemente bizzarra, provoca non poco. Perché è tanto banale quanto evidente che non ci sarà mai piano che regga finché non facciamo la differenziata «perché tanto non la fa nessuno», o finché non sceglieremo tutti insieme di adottare uno stile di vita teso a produrre meno rifiuti.

 

E questo “fare comunità” vale anche a livello nazionale: l’Italia ha una procedura di infrazione aperta anche per due discariche non a norma nel milanese, che minacciano la falda sottostante e inquinano l’aria. Se si arriverà ad applicare la sanzione richiesta dalla commissione, il nostro Paese dovrà sborsare quasi 200 mila euro al giorno fino a bonifica avvenuta. E questo per il bene dei cittadini che vivono nei dintorni, non per ingordigia delle casse dell’Unione – che, del resto, non fa altro che applicare le disposizioni del Trattato. L’inizio della procedura risale al 2004: non possiamo nemmeno puntare il dito contro questo o quel governo, visto che da allora se ne sono succeduti più di uno.

 

Troppo sbrigativo quindi, al di fuori del napoletano, lavarci le mani dicendo che non è affar nostro. Del resto, è proprio l’Unione europea ad insegnarlo: le questioni nazionali “sensibili” – dai rifiuti, alla tutela della salute e della sicurezza alimentare, al nuovo piano decennale per i disabili – non sono un problema di questo o di quello Stato, ma di tutti. Forse non sarà un caso che, anche se limitata all’ambito economico, fino al 1992 si chiamava “Comunità europea”.

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