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Cultura > Rischio vulcanico

Cosa sta succedendo nei Campi Flegrei?

di Oreste Paliotti

- Fonte: Città Nuova

Gli allarmanti fenomeni in corso nella “caldera” flegrea, tra le aree vulcaniche più a rischio e monitorate del pianeta. L’attenzione all’aspetto umano degli eventuali spostamenti di popolazione

Tempio romano e Basilica Cattedrale di San Procolo martire di Pozzuoli (Data 4 febbraio 2017, 20:16:07 Fonte Opera propria Autore FAM1885 – Wikipedia)

Terremoti accompagnati da boati, di scarsa entità è vero, ma avvertiti fino a Napoli; innalzamento del suolo; comparsa di tratti di spiaggia dove prima c’era solo il mare; intensificarsi dei gas nelle zone delle fumarole… È quanto sta avvenendo da tre anni in qua nel Campi Flegrei. Ce n’è abbastanza perché gli abitanti di Pozzuoli, Bagnoli, Fuorigrotta, Quarto e Pianura, sebbene abituati a questi fenomeni, s’interroghino su una prossima devastante eruzione, ipotizzando perfino un collegamento col lontano Vesuvio.

Del resto, non sarebbe la prima volta in un territorio che tra il 29 settembre e il 6 ottobre 1538, per limitarci ad un’ epoca storica, registrò la “nascita” improvvisa, tra spettacolari parossismi eruttivi, di una nuova formazione geologica, il Monte Nuovo appunto.

Ci troviamo nella caldera flegrea, formata da decine di vulcanetti in stato quiescente, il più noto dei quali è il cratere della Solfatara, alle porte di Pozzuoli. Quasi tutta la città di Napoli e le isole d’Ischia, Procida e Vivara fanno parte di questo territorio che, insieme al Vesuvio, costituisce l’area con più alto rischio vulcanico al mondo e quella meglio studiata dagli scienziati.

Impegnati a monitorare gli inquietanti segnali provenienti dal sottosuolo, i ricercatori dell’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Napoli escludono tuttavia certe previsioni apocalittiche (il Vesuvio poi non c’entra per nulla). Da epoche remote, infatti, il bradisismo, ossia il fenomeno di abbassamento e innalzamento del suolo, è qui “di casa”. A Pozzuoli ha lasciato nelle colonne del Serapeo tracce visibili dei su e giù della costa flegrea. E nella vicina Baia i sub si godono le immersioni nella parte sommersa della più celebre stazione termale dell’antichità, tanto per citare gli esempi più noti.

Ci troviamo ora in una fase eccezionale di bradisismo ascendente, fase che dura da 17 anni, con tassi di sollevamento del suolo di circa 15 centimetri all’anno: ben lontani quindi da quelli di un metro all’anno registrati nell’ultima parte del secolo scorso. Ed è normale, che a causa delle rocce sotto pressione la sismicità aumenti. Si tratta comunque di terremoti di bassa magnitudo, quindi non distruttivi, anche se capaci di provocare danni limitati. Come quelli dei primi anni Ottanta, arrivati al massimo ad una magnitudo di 4.2, causa solo di lesioni a edifici per lo più vetusti e fatiscenti.

Per ora, dunque, ogni allarmismo sembra ingiustificato. Secondo la Protezione civile e la Commissione grandi rischi, che basandosi sui dati forniti dall’Osservatorio vesuviano e da altri istituti di ricerca hanno stabilito per i Campi Flegrei un piano di emergenza in quattro livelli, analogo a quello per il Vesuvio, il territorio in questione rientra nel secondo livello: giallo (attenzione). Il primo, il verde, è quando l’attività vulcanica è contenuta nella norma. Al terzo, l’arancione (preallarme), segue il rosso (allarme), quando scatta per le popolazioni residenti l’ordine di evacuazione entro tre giorni.

È quanto accadde ai 2600 abitanti del nucleo più antico di Pozzuoli, il Rione Terra, per lo più pescatori e artigiani, dopo il terremoto del 1980, che finì di sconquassare edifici già provati dal bradisismo del 1970. Cosa fare a questo punto di un sito che in mezzo a veri e propri tuguri annoverava pregevoli architetture, e soprattutto il duomo puteolano, scrigno d’arte ridotto in uno stato pietoso dall’incendio del maggio 1964 e dai successivi vandalismi? Soluzione più spiccia, si prospettava la demolizione totale.

Ma proprio quando sembrava che l’ultima parola toccasse alla ruspa, indagini archeologiche rivelatrici di una sorprendente stratificazione che va dal periodo tardo-repubblicano al vicereame spagnolo davano luogo, a partire dal 1993, ad un innovativo piano di recupero urbanistico e di valorizzazione delle vestigia dell’antica Puteoli, grazie al costituito consorzio “Rione Terra”. E ciò come premessa al necessario riuso e ripopolamento del sito, che prevede, insieme ad uffici, un grande albergo diffuso, coniugando turismo ed archeologia.

Da allora molto è stato fatto. Nella parte già recuperata ma ancora disabitata palazzi di pregio e edifici popolari, rimessi a nuovo, sfoggiano smaglianti colori ocra, crema e grigio. Cantieri e gru sono impegnati ora soprattutto nella zona del promontorio che guarda sulla darsena. Nel maggio 2016, nei locali del palazzo vescovile è stato inaugurato un Museo diocesano ricco di pregevoli collezioni di statue e dipinti, argenti e marmi policromi, suppellettili liturgiche ed ex voto.

Anche il duomo, rimasto chiuso per decenni, è ritornato ad essere il centro spirituale della città. L’intervento di restauro ha valorizzato i resti del tempio augusteo in esso inglobato col passaggio dal mondo pagano a quello cristiano. Sono anche tornate al loro posto le tredici tele di alcuni tra i più noti rappresentanti del barocco napoletano, nonché i tre dipinti di Artemisia Gentileschi: ciò che costituì all’epoca (XVII secolo), un raro esempio di luogo pubblico cristiano decorato da un’artista femminile.

Di tanto in tanto alcuni ex abitanti del Rione Terra ora anziani, presi da nostalgia, dai moderni condomini loro assegnati fanno una puntata qui per rivedere le loro abitazioni di un tempo (belle così sono irriconoscibili!) e soprattutto per rievocare un passato semplice e povero, ma forse più umano. Ed è proprio questa attenzione al fattore umano, congiunto ad una migliore qualità della vita, un aspetto da non trascurare qualora il pericolo vulcanico dovesse rendere necessario un nuovo esodo.

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