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Cultura > Insolita Bibbia

Sansone, rolling stone

di Michele Genisio

- Fonte: Città Nuova

Non è facile dare un significato spirituale alle vicende di Sansone, una vita molto poco lineare, ma comunque alla fine riesce a portare a termine la sua missione

Statua di Sansone ad Ashdod, in Israele.

«Crebbe rotto a qualsiasi fatica, i muscoli presero il prepotere sui raffinati ricami del sistema nervoso». Mario Tobino descrive così Ildefonso, nel libro Per le antiche scale: un energumeno buono come il pane, uno dei matti del suo manicomio non troppo irreale. Sansone, quello della Bibbia, ha tanto in comune con Ildefonso. È un tipo tutto muscoli, sembra fuori posto tra le pagine del testo sacro. Anche se, a parte Gesù nei Vangeli di Luca e Matteo, è inspiegabilmente l’unico personaggio della Bibbia di cui si narra la storia dalla nascita alla morte. Nel cinema Sansone sembra più a suo agio, messo accanto a qualche Dalila mozzafiato o ad altri leggendari forzuti nel peplum Ercole, Sansone, Maciste e Ursus gli Invincibili. In effetti non è facile dare un significato spirituale alle vicende di Sansone. L’iconografia paleocristiana ci provò, vedendo nella consacrazione di Sansone fin dalla nascita e nel suo sacrificio finale, la prefigurazione del Cristo; e nella vicenda del leone e del miele, quella dell’eucaristia: dal forte, il Cristo, viene la dolcezza del miele, l’ostia consacrata. Ma forse, è forzare un po’ troppo il simbolismo. Comunque la vicenda del leone e del miele vale la pena di essere raccontata.

Un giorno un malcapitato leone aveva attraversato la strada di Sansone, e quello con le sole mani l’aveva afferrato e fatto fuori. Giorni dopo, tornando sulla stessa strada, trovò la carcassa del leone dentro la quale le api avevano fatto un alveare. Sansone si riempì le mani di miele, e se lo gustò lungo la strada leccandosi le dita. Si stava recando dai genitori della sua promessa sposa. Una ragazza filistea. Perché Sansone sposava una filistea? Non erano i filistei acerrimi nemici degli ebrei? Questo è un punto scottante. Sansone era nato per intervento divino, da sua madre che era sterile. L’angelo che aveva annunciato alla donna la gravidanza le disse anche che il piccolo doveva essere consacrato “nazireo”: in onore di Dio, avrebbe dovuto rimanere astemio tutta la vita, non tagliarsi i capelli e altri piccoli divieti. Inoltre, a lui era affidato l’ingrato compito di cominciare a liberare Israele dai filistei. E lui invece che fa? Appena fattosi giovanotto ‒ un gran bel giovanotto, ammiccavano le ragazze ebree ‒, lui si innamora di una giovane filistea. E, nonostante la disapprovazione dei genitori, la vuole sposare. Aveva messo in cantiere un disastro. Durante la festa di matrimonio Sansone, baldanzoso, sfida i parenti filistei della sposa con un indovinello: dal forte è uscito il dolce. Fra sé e sé ridacchia, mai questi potranno capire la sua avventura col leone e il miele. Infatti questi non ne vengono a capo. Così chiedono alla sua novella moglie di farsi dire la soluzione. Lei sa come convincere Sansone. Non è difficile. Ancora tutto beato dalle fatiche dell’amore, lui le confida il segreto. Che lei puntualmente rivela ai suoi concittadini. I quali si dichiarano vincitori, e lo deridono. È l’inizio di una catastrofe. Sansone, con un lampo di strampalata fantasia, cattura 300 volpi, le lega coda a coda, prende delle fiaccole, le mette fra le code delle bestiole, e incendia i campi dei nemici. Uccidendone intanto una trentina. Più tardi si fa consegnare incatenato dagli ebrei ai filistei, ma, scioltosi dai legami, ne uccide mille a colpi di mascella d’asino. Aveva una forza sovrumana. Ma non troppo cervello.

Passò del tempo. Mentre stava passando allegramente una serata a Gaza, in compagnia di una prostituta, sentì rumori intorno alla casa. I filistei l’avevano scovato e circondavano l’edificio. Lui uscì infastidito. Sradicò le porte della città, se le caricò sulle spalle e se ne andò verso i monti. «Non si può neppure rilassarsi in pace». I filistei, terrorizzati, tornarono alle loro case.

Non riuscendo a sbarazzarsi di quel gigante, si risolsero di colpirlo nel suo punto debole. Che, inutile dirlo, erano le donne. Trovarono una volontaria, o meglio no, la pagarono profumatamente. Dalila era una gran bella donna. Filistea, ça va sans dire. Sansone si innamorò perdutamente di lei. Il compito di Dalila era di farsi dire dove stava il segreto della sua forza. Perché un segreto doveva esserci, pensavano loro. Dalila si diede da fare. Sansone si beò delle sue grazie, ma non rivelò il segreto. Non subito, almeno. Ma dopo un po’ cedette. Quasi come per liberarsi da un peso che si portava dentro fin da bambino, le sussurrò all’orecchio quello che non aveva mai detto a nessuno. La mia forza sta nei capelli. Quindi non erano degli innocui dreadlocks, pensò lei, non era una nuova moda di acconciatura che tanti ormai si erano messi a copiare. Era lì che stava il suo segreto. Per ricompensarlo della condivisione lo prese tra le braccia e gli concesse tutti i piaceri dell’amore che conosceva. Quando Sansone si addormentò sul suo seno, gli rasò i capelli e lo consegnò ai filistei. Che lo accecarono, lo misero in catene e lo costrinsero a girare una macina. Cosa avrà pensato Sansone allora? La Bibbia tace. «Che fallimento la mia vita, ho combinato solo guai, sono stato ingenuo, mi sono sempre fatto fregare, delle donne che tanto ho amato non ho mai capito nulla, e Dio voleva che liberassi il suo popolo dai filistei…». Più o meno questo avrà pensato. Con l’amarezza nel cuore.

Col tempo, tra carcere e lavori forzati, i capelli cominciarono a ricrescere. E con essi la forza. I filistei non ci fecero caso. Un giorno lo condussero nel tempio del loro dio Dagon, per esibirlo come un trofeo, un fenomeno da baraccone. Ridevano di lui tutt’attorno. Allora Sansone ebbe un sussulto d’orgoglio. Si appoggiò alle colonne che sorreggevano l’edificio e lo fece crollare, seppellendo sé stesso e migliaia di filistei. «Muoia Sansone con tutti i filistei», si dice che abbia gridato. Questa frase è ancor oggi celebre.

Umberto Galimberti, in un discorso sull’anima, fa presente che nella Bibbia non è scritto “muoia Sansone con tutti i filistei, ma muoia la mia nefesh con tutti i filistei”. Il termine nefesh è spesso tradotto con “anima”. Ma gli ebrei non avevano la nozione di anima come abbiamo noi. Sansone intendeva quindi dire: muoia tutto quello che in me è vita. Finiva tutto lì. In un modo che non s’era di certo aspettato, il suo compito l’aveva in qualche modo assolto. Non era stata una strada lineare la sua vita, piuttosto un rotolare come un masso sul pendio di una pietraia. Un rolling stone. Spinto di qua e di là, che sbatte di qua e di là. Come la vita di alcuni di noi.

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