Venezia 76, la storia altra protagonista

Il tema della giustizia nella storia di ieri, nel film J'accuse di Polanski, e in Seberg (Fuori concorso) di Benedict Andrews, e di oggi ne Il Sindaco del rione Sanità di Mario Martone. Il problema del male in Joker con Joaquin Phoenix, il più probabile candidato al Leone come attore. La poesia in Fellini fine mai di Eugenio Cappuccio.

Non una, ma varie storie. Chissà, forse il cinema vuol parlare del passato per riflettere sul presente? Sembra proprio di sì. Per evitare che dalla memoria dei millennians e non solo si cancellino i valori, forse.

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Primo fra tutti quello della giustizia. Il film di Polanski, J’accuse riprende  le celebri parole di Zola per aprire il processo mediatico al governo francese a fine Ottocento sul caso Dreyfus. Rigoroso, preciso, nessuna sbavatura, possente, ricostruisce più che l’interiorità di Dreyfus (un convincente Louis Garrel) la vicenda dell’onestà del  colonnello Picquart (Jean Dujardin), non  un filo-ebreo, ma un uomo diritto che sfida i suoi superiori per restituire l’innocenza a Dreyfus. Certo è presente un risvolto personale di Polanski, assente (ma non la moglie), ma il film ha incassato applausi per la sua ricostruzione senza ombre e che fa riflettere sui privilegi delle caste di allora e di oggi, e sull’antisemitismo già urlante in Europa.

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Giustizia vorrebbe dare il cinema anche ad una icona franco-hollywoodiana, Jean Seberg, con Seberg (Fuori concorso) di Benedict Andrews: morta a 40 anni nel 1979 in circostanze mai chiarite. Carattere fragile, nevrotico, bellezza conturbante, attivista in favore dei neri e perciò spiata dalla FBI. L’attrice Kristen Stewart disegna un ritatto personalizzato della diva, dagli eccessi smodati ma che portava nella carne nell’anima forse la scena del rogo di Giovanna d’Arco in cui rischiò di morire. Un presagio, uno choc? Il film è di sicuro appassionante.

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Lo è pure Mario Martone quando rilegge ai giorni d’oggi Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. Non più un boss settantenne ma un quarantenne sposato che vive sulle falde del Vesuvio da cui gestisce, in mancanza dello Stato, la sua visione della giustizia: chi non ha “santi in paradiso” è condannato alla sofferenza. A lui perciò in tanti si rivolgono. Fra i vari personaggi, tutti attuali e con validi attori, segnaliamo il personaggio più importante in questa nuova Gomorra che è ormai l’identikit del cinema napoletano. È il Vesuvio. La sua presenza silenziosa, minacciosa, ingombrante si sente di continuo, muove pensieri e azioni sotto un cielo mai sereno. Film teatrale di tempi e luoghi, cupamente teso tra la vera giustizia e quella che si fanno gli uomini, senza una goccia di speranza e tante domande irrisolte in questa Napoli arcaica e moderna.

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Il problema di fondo rimane e tocca un argomento scabroso, il male. Perchè Joker è Joker?

Il comico fallito che non riesce nè ad essere felice nè a dare felicità, vittima di un mondo individualista e violento è il protagonista dell’atteso e spiazzante film di Todd Phillips. Un dramma feroce, disturbante in una Gothan che assomiglia alle megalopoli attuali dove si aggira Arthur Fleck che si scopre  solo, non accolto, perseguitato e deriso dai ragazzini come dai personaggi televisivi (un grande Robert De Niro), dentro un potere cattivo. Neanche la madre annulla il suo dolore, alla fine si sente tradito pure da lei. Non resta che diventare allora cattivissimo, uccidere la vita, suscitare l’odio che trionfi. Quando non si  è amati, si può scegliere di essere la cupa maschera clownesca bistrata di cerone bianco. Film potente, drammatico e crudele, si avvale della performance grandiosa di Joaquin Phoenix, non inferiore a quelle di Heath Ledger, Jared Leto e Jack Nicholson. Anzi, dopo le pur ottime prove di Brad Pitte e Adrian Driver, Joaquin diventa il più probabile candidato al Leone come attore. Il racconto del buffone maligno non è una novità nell’arte, ma qui diventa simbolo accentuato del nostro tempo ove all’ingiustizia si oppone la giustizia ribelle delle vittime, prese dalla stessa follia cupa in cui è precipitata la società. Dove ognuno di noi rischia di diventare un altro Joker.

Meglio rifugiarsi allora nella poesia della visione?

CINEMA: AMARCORD, 40 ANNI DI UN GRANDE CLASSICO

Fellini fine mai è il documentario che con evidente amore e precisione professionale Eugenio Cappuccio dedica al suo e nostro maestro. Ricordi personali e familiari, pezzi inediti, interviste ad amici e collaboratori animano un racconto poetico sul grande regista. Uno che ha capito tutto e che ha profetizzato molto. Rimane ancora un mistero così come è la vita. Commovente e perfetto.

 

 

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