Una dimensione nuova della povertà

La proposta di san Francesco d’Assisi estesa all’intera Chiesa.
Frati francescani

Dopo san Benedetto, cambiamenti radicali vengono prodotti dall’avvento di un altro grande santo: Francesco d’Assisi. Intanto, c’è da considerare che i seguaci del Poverello nascono in una società commerciale, completamente diversa da quella di colui che è diventato simbolo dell’ideale di vita monastica: sorgono infatti le prime banche (alcune proprio per impulso dei francescani, come rimedio all’usura da cui è afflitta tanta povera gente), incomincia a esserci una differenza enorme fra quanti si vanno arricchendo e quanti invece, soprattutto contadini, spesso non hanno neanche di che vivere.

 

San Francesco, questo gigante di cui non si coglie mai abbastanza la portata, indica una dimensione nuova della povertà col fatto di sceglierla non solo per sé, ma di proporla e insegnarla a tutta la Chiesa. Tant’è vero che dopo di lui non ci sarà più nessun ordine religioso che non terrà conto del valore della povertà evangelica, compresi gli stessi benedettini, in qualche modo. Non solo: al posto della stabilitas loci a cui sono obbligati i seguaci di san Benedetto, subentra la mobilitas: i frati diventano itineranti, incominciano a girare dappertutto!

 

Si costatano tuttavia delle difficoltà ad attuare il francescanesimo come l’ha vissuto il suo fondatore: di qui le varie diramazioni sorte nell’ordine, alcune delle quali approvate dalla Chiesa, mentre una è condannata: ne fanno parte quanti sostengono, in pratica, che la ricchezza non è un bene, appoggiandosi al fatto che Gesù non ha posseduto nulla né in privato né in comune. In questo la Chiesa riscontrerà una forma ereticale, cioè una negazione della bontà dei beni che vengono da Dio, logicamente se usati bene.

 

Questa distinzione fra la povertà evangelica e i beni della terra, secondo me, ha avuto effetti deleteri perché ha impedito di capire, nel XIX secolo, il fenomeno del capitalismo o del liberismo, in realtà forme innovative di tecnica economica. Non la ricchezza in sé, ma l’uso che se ne fa può essere cattivo.

 

(continua)

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