«Trump è un genio», «Donald è un populista»

Commenti dall’Italia e dal mondo intero alla vittoria del tycoon. Una cosa è certa: se ne discuterà a lungo, perché il neo-presidente è un guastatore degli equilibri acquisiti e del politicamente corretto
Un americano deluso per la vittoria di Trump su Clinton foto di Ted S. Warren per Ap

Stamani non faccio commenti alle recenti elezioni Usa, ma lascio la parola a coloro che ieri hanno commentato il mio articolo sull’elezione di Trump a 45° presidente degli Stati Uniti. Credo che ciò possa dare un’idea della divisione che esiste nell’opinione pubblica nostrana al riguardo. Ma anche la ricchezza delle diverse posizioni, che cercano di capire che cosa succederà. Ho tralasciato solo i (pochi) commenti volgari o offensivi (non per me, ma per gli attori delle elezioni Usa).

 

Gabriele de Almeida: «Avresti scritto questo anche se Hillary avesse vinto?». Michele Mitch Catarinella: «Bella domanda…». Aggiunge Gianni Oderda: «Certo che no: Hillary rappresenta esattamente il contrario di Donald Trump, nel bene e nel male».

 

Emanuele Plasmati: «La fine del mondo è vicina».

 

Walter Marcucci: «Peccatori convertitevi».

 

Giuseppe Sbardella fa questo commento: «Non hai notato una continua alternanza nelle ultime elezioni avvenute nel mondo occidentale? Le scelte dei popoli variano, ad ogni tornata, da destra a sinistra a scelte di tipo populistico. Quale può essere il motivo? Che forse le sfide del XXI secolo (globalizzazione degli affari ma, per fortuna anche delle persone e delle idee) comportano un cambiamento dello stile di vita, dato che non può essere più ipotizzato uno sviluppo lineare verso l'alto. Occorre andare verso uno stile intriso di sobrietà e di solidarietà, ma i popoli, rinchiusi in ormai falsi miti e nel loro individualismo, lo rifiutano. Ecco allora l'andare in ricerca di chi indica strade miracolose, "ideone", che senza farci cambiare nulla ci riportino sulla strada dell'ormai impossibile sviluppo lineare. O no?».

 

 

Paolo invece scrive: «Chi ha perso? La dinastia dei Clinton; la dinastia dei Bush (Bush sr ha votato Clinton, Bush jr scheda bianca); i neocon; i promotori delle guerre in Iraq, Siria e Libia. Cioè, sin qui, il partito della guerra. Poi: Wall Street; i grandi media; Ciccone e Lady Gaga; Hollywood; i falsi sondaggisti (che usano i sondaggi per indirizzare l'opinione pubblica); Paesi come l’Arabia Saudita e il Qatar, finanziatori della Clinton; l’Internazionale dell’aborto che muove migliaia di miliardi. Chi ha vinto? Lo vedremo con il tempo».

 

 

Ancora, Salvatore Pandolfo : «D opo il risultato delle elezioni Usa, mi viene in mente quanto detto da Giuseppe Maria Zanghì: la politica non basta a migliorare le società. Per quanto possano essere ottime le istituzioni democratiche, ci vogliono anche le altre componenti. Ossia la società civile, la scuola, l'educazione a vivere insieme, uno sguardo ampio sugli altri popoli e sulle loro sofferenze. Altrimenti ci si chiude nel proprio "particolare" ed il prossimo tycoon di turno vincerà le elezioni negli Usa o altrove».

 

Franca Capponi: «Se non ho male inteso alla radio, Obama ha commentato: “Ma domani mattina il sole continuerà ancora a sorgere e risplendere”. Che anche questa “notte” possa scuoterci e offrirci la possibilità di aprire spiragli di Luce. Incominciando dal rivedere la mia “coerenza” di cittadina… democratica».

 

Dal Libano, ecco il commento di Robert Chelhod: «La politica americana ultima ha finanziato l'Isis, ed era dietro la cosiddetta primavera araba. Risultato: distruzione totale dei nostri Paesi. Dunque attenti a non giudicare velocemente, vediamo cosa farà la nuova politica».

 

Julie Moore: «La democrazia forse deve andare dallo psicanalista. Trump di sicuro».

 

Walter Marcucci: «I popoli sono diventati egoisti guardano tutti il proprio ombelico e il vicino è il primo da abbattere. Le elezioni una volta si vincevano al centro, oggi si vincono a destra con politiche di protezione nazionale. Si rialzeranno i muri e le barriere. La burocrazia e il non voler fare le riforme portano a questi risultati».

 

E Valeria Viara, fedele lettrice: «La democrazia occidentale è vittima della burocrazia. In una frase hai centrato il nocciolo del problema. I cittadini si sentono sudditi, schiacciati da tasse incomprensibili e governati da burocrati distanti e che si approfittano dei cittadini per mantenere il potete. E tutto ciò si concretizza nella burocrazia che appare come un a gabbia attorno ai cittadini. E questo ancor più in Italia».

 

Dal Brasile il collega e amico Klaus Brusche: «Secondo me, ci sarebbe da capire a fondo questo momento in cui l'Occidente rinuncia alla politica e cede ai discorsi populisti».

 

Ermes Rigon, altro fedele amico su FB: «Sono rimasto senza parole! Non mi sarei mai e poi mai aspettato una cosa del genere. Ora che si deve fare? Restare a guardare o…». Risponde Ennio Scardicchio: «Pregare affinché faccia il presidente per il bene non solo del suo paese, ma per il bene del mondo». E Humberto Boccia: «Bisogna pregare tanto. La preghiera è potente».

 

Ancora Ennio Scardicchio: «Tra i due comunque non so chi sia migliore. Voglio ricordare che la segreteria di Stato con il vecchio presidente e anche i precedenti hanno contribuito alla nascita dell'Isis… arruolati e addestrati a uccidere oltre a contributo della vendita di armi… quindi non è santo nessuno».

 

Stanislao M. Esposito: «La campagna elettorale di Trump era molto simile a quella degli inglesi per la Brexit. È stata fondata sulla paura delle invasioni, e su un immagine di una America “great” che non è mai esistita. Sembrava di ascoltare il lamento degli ebrei nel deserto».

 

L’analista europeo Paolo Giusta aggiunge un suggerimento per le nostre democrazie: «E cercare di guarire dal narcisismo autoreferenziale?».

 

Commento anche dal Congo, di Pierre Kabeza, che introduce un sentire molto comune in Africa: «Che dicono i congolesi? “Meno male che abbia perso Hillary Clinton”. Gli europei non sanno come noi abbiamo pagato con il nostro sangue la pazzia politica del clan Clinton. La guerra in Congo è stata pensata in Usa sotto l'amministrazione Clinton. Con Obama questa guerra è diventata di bassa intensità. La paura nostra era che ritornasse al potere uno dei Clinton. Sarebbe stato un atto di incoraggiamento per gli alleati di Clinton in Africa, che sono pronti a versare il sangue per gli interessi dei loro capi. La vittoria di Trump è un rovesciamento dell’ordine che ha preso il mondo in ostaggio. Ma è anche la vittoria di un popolo che viene rispettato nella sua scelta».

 

Poi di nuovo il Brasile, con Renato De Araujo: «La democrazia ha prodotto un avversario più forte di sé stessa, mentre un gruppo troppo sicuro di poter perpetuarsi nel potere con dei meccanismi alle volte tradizionali ed onesti, altre volte no, l'ha rapita. Obama è anche tanto o più populista che Trump».

 

Da Roma, Oreste De Rosa: «Nel più grande libero mercato del mondo occidentale, il ceto medio sprofonda più velocemente e drammaticamente che altrove. Minacciato dalla precarietà del lavoro, dell'immigrazione non adeguatamente gestita, dal terrorismo, poco gli importa del politically correct. Non si riconosce nella classe dirigente che si salva mentre lui affonda. Solo Trump ha detto le parole che il ceto medio voleva sentirsi dire. E chi non sa salvarti va a casa anche se l'alternativa è terribile. Non credo sia crisi di democrazia, ma di classe dirigente».

 

Da Lecce Claudio Attis: «Che io ricordi da semplice spettatore dei tg, la Chiesa ha votato il suo papa conservando fortemente il suo stato… L'Italia col suo Mattarella ha ristabilito un antico ordine ed ora anche gli Usa hanno dimostrato più forza interna rompendo con le concessioni femminili alla Merkel… Mi sembra di tornare al tempo dell'antica Roma».

 

Marilù delle Foglie era per la Clinton: «Gli americani si meritano il capo che si son scelti… Che Dio ce la mandi buona… La Clinton era il minore dei mali».

 

Luisa Candelo è per il no al referendum: «Non capisco come si fa a tifare per Hillary quando la sua campagna elettorale è stata pesantemente finanziata dall'industria degli aborti della Plannet Parenthood e, in un recente dibattito televisivo, ha affermato di essere favorevole all'aborto a nascita parziale (che vuol dire uccidere il bambino al nono mese di gravidanza un attimo prima di estrarlo dalla pancia della madre). È pur vero che non c'è differenza sostanziale tra un mese di gravidanza o il nono, sempre bambino è».

 

Salvatore Rizzo mi conforta: «Saggia e centrata riflessione Michele».

 

Il politologo di doppia nazionalità, italiana e statunitense, Aldo Civico, così commenta: «Non devi andare molto lontano per investigare Michele: osserva Beppe Grillo, il nostro prossimo presidente del consiglio». Dalla Russia chiosa Alessia Luda Mori: «È la triste verità».

 

Ancora dagli Stati Uniti, il collega Miguel Novak: «Come sempre la domanda è: che succede il giorno dopo? Sono vissuto negli USA quasi 40 anni, e non ho mai visto il paese cosi diviso, la gente cosi arrabbiata, cosi scontrosa e cosi "ignorante" delle complessità della vita politica nazionale e internazionale. Totalmente l'opposto di quel self control che caratterizzava la cultura anglo, la cultura Usa fino a qualche decennio fa. Diceva, prima delle elezioni, una mia amica politologa, persona di valori e molto realista: “Sia la Clinton e i democratici, sia Trump ci condurranno a un train wreck, un deragliamento del treno”, ognuno per la sue ragioni: visione, piattaforma economica, morale e politica, personalità e giochi politici." La storia degli imperi che crollano non senza pianti e sofferenze. Ergo, continua la mia amica politologa, “bisogna ricominciare dalla base: educare…, educare anche a quelle virtù civiche, a quella visione che fece dire a Tocqueville -come citavi in un articolo precedente: “L'America è grande finché è buona”. Altrimenti, dico Io, “che Dio ce la mandi buona e senza troppo vento”».

 

Alberto Mattioli mi scrive su Messenger: «La campagna elettorale americana è stata un incontro di wrestling e quindi ha vinto il migliore: Donald Trump. Il discusso imprenditore ha fatto carta straccia di tutti i canoni democratici dinnanzi ad una candidata democratica consumata dal lungo potere gestito con il marito-socio Bill e spaesata dalle inusuali brutalità del confronto. Trump ha raccolto le sordide rabbie che covano negli Usa e in tutte le democrazie storiche occidentali. Vi è una ribellione che pare indifferente a qualsiasi buon senso, ragione e autorità. Al fondo vi è l’enorme spaesamento morale, culturale ed economico derivante da accelerati processi di globalizzazione e tecnico scientifici che l’essere umano fa fatica a comprendere e metabolizzare. Questi fenomeni hanno travolto i confini materiali e culturali delle persone e delle comunità, causando nell’immediato una molteplicità di paure enfatizzate da circuiti informativi i cui messaggi sfuggono ai media tradizionali. L’angoscia di un ulteriore impoverimento e della perdita del controllo della propria identità, diritti, valori ed economie generano queste clamorose reazioni».

 

Infine, l’amico imprenditore carpigiano Giovanni Arletti offre la sua analisi: «Di fronte al dilemma votare per Hillary o votare per Trump il popolo americano ha scelto Trump. Trump, malgrado l’apparenza, è più un guru, uno sciamano, che un leader politico. I trumpisti sono cittadini comuni, furibondi con l’establishment, Trump li ha solo sdoganati, con il suo linguaggio, i suoi atteggiamenti. Saranno loro i vincitori di queste elezioni. La vittoria di Donald Trump. Verrà catalogata come la prima rivoluzione incruenta della storia, perché esclusivamente politica. Fior di accademici studieranno le strategie con le quali ha scardinato gli oliatissimi meccanismi delle lobby, delle banche, delle corporation, dell’establishment, proprio di quelli che agli occhi del popolo sono responsabili della Grande Crisi. E lo ha fatto usando lo stesso linguaggio della classe media impoverita e di quella povera che si è riconosciuta, fisicamente e linguisticamente, in lui. Trump ha unito nel voto soggetti in passato lontanissimi, il ricco e il povero divisi dai quattrini, ma su Dio, Patria, Famiglia sono sulla stessa lunghezza d’onda, il vecchio e il giovane, destri e sinistri hanno lo stesso terrore verso il futuro, però sono uniti nel disprezzo verso un pugno di banchieri snob, di felpe californiane sopravvalutate, di intellettuali servi. Una cosa è certa, il “trumpismo”, ha vinto».

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