#TrashtagChallenge, cioè puliamo il pianeta

Tra le mille e mille iniziative dei social, eccone uno che, oltre ad avere effetti immediati sull’ambiente in cui viviamo, ha una valenza educativa.

 

Viene da chiedersi perché certe iniziative abbiano più successo di altre, a parità di condizioni di partenza. In questo caso il contesto sono le reti sociali, che facilitano enormemente la diffusione dell’informazione che arriva nel mondo intero con un clic. Parliamo del recente “#TrashtagChallenge”. Forse bisogna ricordare il fenomeno challenge, cioè “sfida”. Chi non ricorda le immagini di qualche anno fa dovute al “MannequinChallenge”? Si trattava di fermare il tempo mentre una videocamera registrava un dato gruppo di persone ferme, come fossero statue. Quello non è stato il primo e ultimo challange, perché si è diffusa in tutto il mondo la pratica di tali sfide, alle volte pericolose come il “BirdBoxChallenge”, che proponeva di camminare con gli occhi bendati, come nell’omonimo film. La sfida sta nel catturare la scena o la foto più riuscita e condividerla attraverso le reti. Per lo più sono prove di taglio umoristico, o un semplice passare il tempo. Ma non solo.

Il “#TrashtagChallenge” ha preso forza nell’ultima settimana, al punto da meritare l’interesse informativo di grandi mezzi televisivi e importanti quotidiani, perché «può aiutare l’umanità», come dice, tra gli altri, il quotidiano argentino Clarín. E perché? Perché consiste nel pulire la spazzatura del pianeta. Chi vuole partecipare alla sfida, per partecipare deve trovare uno spazio pubblico veramente sporco, farsi la foto in mezzo ai rifiuti, poi pulire il luogo e rifarsi la foto nello stesso luogo ma ripulito. E poi pubblicare le foto nelle reti, ovviamente. Sembra che tutto sia partito da un post su Facebook, il 5 marzo, di Byron Roman, che proponeva una sfida per adolescenti annoiati. Condiviso più di 321 mila volte nei social network, il messaggio è diventato subito virale. Qualcuno l’ha definita «una sfida ecologica e intelligente» perché dimostra una reale potenzialità educativa.

Si capisce bene che l’azione non ha nulla di nuovo, ma la sua portata sì. Già due anni fa l’avvocato indiano Afroz Shah lanciò una simile sfida il cui risultato fu la raccolta di circa due milioni di chili di rifiuti nella spiaggia di Versova a Bombay. Col “#TrashtagChallenge”, però, si è dimostrata l’utilità di Twitter, Instagram, Facebook o Reddit che hanno mostrato finora migliaia e migliaia di fotografie provenienti da tutto il mondo, a documentazione di cambiamenti radicali nell’ambiente. Ed ha attirato pure la partecipazione di persone famose, come l’attore spagnolo Jon Kortajarena, che insieme a Greenpeace ha riunito domenica scorsa centinaia di persone nella spiaggia di Ereaga, vicino a Bilbao, sotto lo slogan: “Maledetta plastica”.

Forse qualcosa sta cambiando, forse siamo arrivati ad avere coscienza che il problema «dipende da me»? Come altrimenti spiegare il successo di “#TrashtagChallenge”? Che è altresì una testimonianza dell’effetto positivo di gareggiare per una buona causa. Al riguardo National Geographic ha scritto che questo tipo di sfida «potrebbe migliorare il pianeta in cui viviamo». Forse tutto ciò non è che una moda passeggera; ma se già nel frattempo l’iniziativa avrà un effetto educativo su chi vi partecipa, il saldo sarebbe positivo.

 

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