Sotterrare l’ossigeno?

Dopo la rivoluzione komeinista, all’inizio degli anni Ottanta, il prezzo del petrolio aveva superato i 40 dollari al barile, ben più in termini reali degli attuali 65 dollari: l’economia industrializzata ne aveva molto sofferto, ma aveva saputo reagire con una agilità incredibile. Le grandi aziende petrolifere si erano gettate alla ricerca di giacimenti di petrolio in aree diverse dal Medio Oriente, mentre le industrie del Nord ad alto consumo energetico chiudevano i battenti, pronte a costruirne di nuove per i paesi produttori nuovi ricchi. Così in soli cinque anni, proprio quando i paesi produttori erano diventati dipendenti dalle enormi entrate degli anni precedenti, la produzione di petrolio diveniva esuberante: la guerra dei prezzi tra produttori che non volevano ridurre le proprie esportazioni, portava il petrolio a soli sette dollari al barile, spingendo l’Unione Sovietica verso il fallimento. La storia si ripeterà? In questi anni nuovi importanti avventori si sono aggiunti alla mensa, con una tale fame di energia da zittire gli ottimisti che pronosticavano un ritorno al petrolio a basso prezzo. L’economia di mercato però anche questa volta reagisce, e riprende vigore il nucleare. Per l’industria francese, che ha in passato costruito impianti in grado di produrre il 75 per cento dell’energia elettrica del paese, arrivandone ad esportare anche a casa nostra, si prospetta un futuro radioso. Già oggi la Francia compete con gli Stati Uniti e la Russia, in particolare per nuovi impianti in Asia: il programma nucleare della Cina per il prossimo decennio è impressionante. La Germania invece ha lasciato il nucleare, scegliendo di incrementare le fonti rinnovabili (eolico, solare termico e voltaico) influenzando molto in questa direzione la politica energetica euro- pea. Una scelta, questa, innescata dai Verdi al governo, che sta diventando strategica anche dal punto di vista economico e tecnologico: la Germania infatti sta diventando leader mondiale dell’eolico e, insieme al Giappone, anche del fotovoltaico, facendone motivo per un nuovo sviluppo industriale. A favore della scelta tedesca, si deve considerare che, se un domani si trovassero nuove fonti di energia più convenienti, mentre sarebbe facile smontare le torri dell’eolico, o cambiare le coltivazioni di biomasse, non sarebbe facile smantellare centrali nucleari il cui materiale continuerà ad essere radioattivo per migliaia di anni. Avendo rinunciato al nucleare, in Italia si è fatto molto affidamento sul consumo di gas naturale: in casa produciamo però solo il 16 per cento del nostro consumo, importandone il rimanente dall’Algeria, dall’Olanda e dalla Russia. Lo si è sempre considerato un rifornimento sicuro, perché se i produttori chiudessero i rubinetti non disporrebbero di altri utenti. Non si era pensato però che pur rimanendo i rubinetti aperti, potesse essere un paese terzo, attraverso cui passano i gasdotti, a dirottare il gas verso destinazioni diverse, come è successo nel recente caso dell’Ucraina, solo parzialmente risolto. Certamente sarebbe più sicuro avere più alternative da cui rifornirsi, poter comperare il pane da più fornai: ma per l’Europa gli altri potenziali fornai sono lontani, in Medio Oriente, in una Africa meno prossima dell’Algeria, nei paesi asiatici della ex Unione Sovietica e nella lontanissima Siberia del Nord. Avendo comunque il nostro continente una grande fame di energia, enormi investimenti per far raggiungere l’Europa da più fornitori sono già previsti: oltre 50 miliardi di euro in dieci anni: il programma Trans Med prevede infatti di creare un unico anello di oleodotti, gasdotti ed elettrodotti attorno al Mediterraneo, in cui dovrebbero convergere petrolio, gas naturale ed energia elettrica dall’Asia e dall’Africa, riducendo i trasporti di petrolio nel mar Nero e nel Mediterraneo, quelli più a rischio ambientale. Gasdotti ed oleodotti che attraverseranno vari paesi, non tutti però ancora forniti di governi affidabili. Il progetto prevede anche l’arrivo via mare dall’Egitto di grandi quantità di gas liquefatto: per esso però in Italia vi è un solo approdo in Liguria: gli altri otto progetti sono bloccati in sede locale dagli intralci più diversi. Rassegnate ad un futuro con petrolio carissimo, le grandi aziende petrolifere, utilizzando aziende specializzate tra cui la nostra Saipem (le cui quotazioni in borsa sono salite moltissimo), ne cercano e trovano in aree sempre più disagiate, anche su fondali marini a oltre mille metri di profondità, dove sono necessarie tecnologie complesse, perché lì l’uomo non può operare in prima persona. Intanto, ai prezzi attuali, è diventato conveniente il recupero di petrolio dalle sabbie bituminose, disponibili in enormi quantità in Canada. Più banalmente poi ci si rivolge al carbone, che assicurerebbe al mondo riserve per ben più di cent’anni; ma i cambiamenti climatici indotti dall’effetto serra sono ormai incontestabili e queste alternative energetiche subito disponibili ne sono le prime responsabili: a parità di produzione di energia il combustibile decisamente più dannoso in questo senso è il carbone, seguito dalle sabbie bituminose, dal petrolio e dal gas naturale. Tuttavia, una soluzione che ultimamente è studiata, e riscuote molti consensi è un utilizzo innovativo del carbone: esso viene fatto reagire arroventato con acqua per produrre idrogeno e anidride carbonica, in impianti simili a quelli che in passato servivano a produrre il gas d’acqua utilizzato nelle città prima della adozione del metano. La novità è che l’anidride carbonica si prevede di separarla dall’idrogeno prima del suo utilizzo per produrre energia, e di iniettarla in pozzi profondi due chilometri, a volte al posto del metano o del petrolio estratti. Questo sistema di produzione di energia subito realizzabile, che si calcola sarà economicamente conveniente se i limiti del protocollo di Kyoto saranno presi sul serio, presenta però un inconveniente, che è trascurato anche dalle pubblicazioni scientifiche più prestigiose: per ogni tonnellata di carbone estratto dal sottosuolo (costituito quasi completamente dall’elemento chimico carbonio) si dovrebbero iniettare nel sottosuolo oltre tre tonnellate e mezza di anidride carbonica: la tonnellata di carbonio estratta, più due tonnellate e mezza di ossigeno sottratto all’atmosfera. Ossigeno che sarebbe così sotterrato senza possibilità di ritorno. È vero che di ossigeno nell’atmosfera ce ne è tanto, ma facendo un po’ di conti si può vedere che adottando massicciamente questa soluzione per i prossimi cento anni, la riduzione della percentuale di ossigeno nell’atmosfera diventerebbe più che apprezzabile. Concludendo, bisogna riconoscere che se conviene adottare anche in Italia le fonti di energia rinnovabili, cioè il fotovoltaico, l’eolico, il solare termico, le onde del mare, l’alcol nella benzina e il gasolio prodotto con olio di semi, la loro incidenza, pur importante, non potrà essere immediatamente decisiva. Ma neppure del tutto trascurabile, come si è creduto lungamente. Per il nucleare, a parte le preclusioni di carattere politico, il discorso va impostato sul lungo periodo. Sarebbe invece in grado di apportare un ulteriore notevole contributo al nostro bilancio energetico l’utilizzo delle tecnologie già disponibili per ridurre i nostri consumi. Con una produzione intelligente e con tecnologie di risparmio innovative, quasi tutti i consumi potrebbero essere ridotti di oltre il cinquanta per cento: in molti casi si è dimostrato che si utilizza solo il dieci per cento dell’energia che si consuma. Ma per riuscirci davvero occorre una decisa azione politica, innescata e sostenuta dalle organizzazioni della società civile, sia per incoraggiare economicamente queste adozioni, che per diffondere una cultura della sobrietà, l’unica che ci può convincere a ridurre i consumi prima di esserne obbligati a farlo dalla mancanza di energia o delle risorse per acquistarla.

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