Solidarietà sudamericana, Manzoni e la nostra identità

Quasi due milioni di venezuelani sono emigrati in un anno e mezzo. Un milione circa è stato accolto in Colombia, quasi mezzo milione in Perù. Non se ne parla granché, nemmeno nei Paesi di accoglienza, che hanno molto meno degli europei da condividere. Ma non mancano di generosità.

Quando penso alla solidarietà mi sovviene spesso la scena in cui Manzoni apparecchia – è il caso di dirlo – attorno a una tavola, subito dopo la liberazione di Lucia grazie alla conversione dell’Innominato. Condotta al paesello prossimo al covo del criminale, viene accolta in casa della buona famiglia del “letterato” locale, gente umile per la quale niente è di avanzo. Già sopportano lo sforzo di avere ospiti in casa in tempi di carestia ma, prima di cominciare il pranzo, il padrone di casa fa separare un piatto di cibo che manda alla vicina che pure vive in ristrettezze. La solidarietà è spesso il pane dei poveri. 

Nel mondo ci sono 68 milioni di rifugiati/migranti. E non tutti confluiscono in Europa. Anzi, nemmeno la gran parte. La differenza è che il resto del mondo non si guarda l’ombelico, né i media fanno lo stesso baccano, e spesso invece di chiudere i porti, i governi li aprono. Di fronte alle emergenze umanitarie, prima si aiuta. Come la famiglia manzoniana, come il buon samaritano, come insegnano duemila anni di cultura cristiana e civile.

Se ne sa poco, perché i media europei si occupano d’altro, ma la crisi del Venezuela ha provocato un esodo massivo di gente, spesso disperata. Con una inflazione pronosticata al 1.000.000 per cento (sì, avete letto bene), circa un milione di venezuelani sono emigrati in Colombia e nei paesi vicini e non tanto vicini. In Ecuador se ne sono fermati 72.000, ma in Perù negli ultimi tre mesi ne sono entrati 454.000. Altre numerose migliaia si sono spostate in Argentina e Cile.
Che non sia una situazione facile appare evidente. La Colombia è ancora alle prese con una guerriglia attiva, ha un problema di sicurezza grave, varie zone rurali di difficile accesso sono sotto il controllo di guerriglieri dissidenti e bande criminali che continuano la loro azione delittuosa. Sta conquistandosi la pace ed il 40% della popolazione è povera. L’Ecuador fa fatica a riprendere il ritmo di crescita degli anni passati. Due anni fa Il nord è stato sconvolto da un terremoto di grande intensità, la caduta del prezzo del petrolio ha diminuito il gettito fiscale notevolmente. Non meno di un terzo della popolazione è povero. Il Perù pure cerca di dinamizzare la sua economia, la povertà è attorno al 25%. In gran parte delle aree rurali più lontane dai centri urbani, lo stato arriva poco e male. Insomma nessuno ha da scialare. Tutte queste economie, quando va bene, rappresentano la quinta, la sesta o la settima parte dell’economia italiana…  

Eppure non si avvertono correnti di xenofobia o di razzismo, se non in termini minimi, si direbbe normali. Il governo dell’Ecuador sta coordinando con le agenzie dell’Onu azioni nelle tre regioni più interessate dal flusso migratorio dal Venezuela, ma per offrire una accoglienza umanitaria di fronte all’emergenza suscitata da più di 4 mila arrivi al giorno. Attrezzano refettori, tende, centri di attenzione sanitaria. In Cile, nelle scorse settimane il governo ha messo in moto una operazione per regolarizzare i migranti illegali. In due settimane sono state registrate più di 230.000 persone, che ora potranno integrarsi. Alcune centinaia, con precedenti penali e colte in fragrante attività illecita, sono state rimpatriate. Il numero dice che nel giro di un anno gli stranieri, che sono 500.000 si sono raddoppiati. Nessuno grida allo scandalo. A Santiago Il municipio sta organizzando corsi di formazione per poter accedere a un posto di lavoro. Solo di haitiani in un anno ne sono entrati 14.000. Arrivano in pieno – crudo – inverno cileno con i sandali ai piedi e indumenti di cotone, leggeri. La gente resta ammirata dalla loro gentilezza. Li vedi al mercato rionale o lavorando come spazzini, nelle aziende edili. Passano con fatica dal creole allo spagnolo e quando non sanno cosa dire sorridono. Tutto qua. Il nuovo diviene normale, quotidiano e viene assimilato.

Non posso evitare di pensare che spesso ci si chiude ai migranti o ai rifugiati in nome di una identità culturale. La nostra viene da Dante, da Petrarca, da Michelangelo e da Vinci, da Manzoni, Rosmini, Francesco d’Assisi, Caterina da Siena, don Bosco, Beccaria, Bobbio… Cosa ci direbbero? Cosa ci direbbe oggi Dante, che visse a lungo di asilo politico? Cosa il Manzoni, già citato nelle prime righe di questo articolo? Credo che già ce l’abbiano detto. Stiamo piuttosto attenti a non rinnegare con i fatti una identità che pretendiamo difendere a parole. Senza solidarietà saremo altra cosa, ma non italiani.
Oggi una piccola lezione ci arriva dalle Ande, li dove molti italiani andarono lasciando gli Appennini.

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