Sanremo 2007: incredibile ma vero

Comincio a sospettare che esista una teoria universale di Sanremo. Valida tanto per le infinite corporazioni degli addetti ai lavori, quanto per i partecipanti, quanto per il pubblico. Il primo anno il festival t’ammalia come il più baluginante dei baracconi, al quinto ti sfianca, al decimo t’annoia, al ventesimo non ne puoi più. Ma ecco che proprio dal collasso l’araba fenice rinasce più forte che prima. Quest’anno più che mai occorre distinguere il prodotto televisivo dalla rassegna canora. E se il primo ha sfornato l’ennesima, interminabile litania di banalità più o meno scollacciate, la seconda ha offerto un carniere mai così appetibile da almeno un paio di decenni. Una decina di belle canzoni in un unico fe- stival, e alcune supportate da testi finalmente significativi, per qualità e contenuti: da non credere alle proprie orecchie. Canzoni sì, non solo canzonette da supermercato, spesso confezionate con sapienza artigiana, in una nuance di registri che spaziavano dallo sberleffo al sentimentale, dall’impegnato al divertissement senza mai scadere nel routinaggio festivaliero. Quanto al duplice plebiscito che ha incoronato i brani di Cristicchi e di Federico Moro mi pare anch’esso foriero d’ottimi auspici per il futuro del Festival. Un evento finalmente capace di mettere in mostra anche i lati meno stucchevoli della società contemporanea, le sue migliori speranze e le sue sacrosante indignazioni. Ora che gli ultimi ritrovati tecnologici (tipo mysky) consentono a molti una sorta d’autogestione, dribblando le sbrodolate pubblicitarie e bypassando le stupidaggini, l’ultimo BraccoBaudo show è sembrato quasi un programma nazional-popolare dignitoso. E pazienza se i discografici potranno sperare di rientrare dagli investimenti solo grazie alle suonerie dei cellulari; se i costi del baraccone sono parsi scandalosamente sproporzionati all’esito; se le beghe aziendali han generato baruffe degne di un’assemblea condominiale. L’importante è che nell’eterna battaglia tra la mediocrità -o l’indecenza- e la qualità, ci sia stata partita, e un’accettabile alternanza. Parlar bene di Sanremo, chi l’avrebbe mai detto? IL MEGLIO DEL FESTIVAL F. Concato Oltre il giardino Un delicato e commuovente elogio del precariato, all’altezza delle sue cose migliori S. Cristicchi Ti regalerò una rosa Poesia pura. Forse servirà poco a sensibilizzare le coscienze, ma basterà a far nascere una nuova stella. J. Dorelli Meglio così Il raffinato ritorno del più grande crooner nostrano. Khorakhané La ballata di Gino Folkettino un po’ grezzo, vagamente à la De Andrè. Fuori al primo turno, ma il quartetto romagnolo merita ulteriori sopralluoghi. Milva The show must go on Elegia del fallimento ricamata da Faletti a misura di una sessantasettenne ancora in grado di lasciare il segno. F. Moro Pensa Un grande brano d’impegno civile che richiama l’impatto emotivo del primo Povia. Buon proseguimento! Nada Luna in piena Uno sberleffo, fin troppo sghembo ed urticante, ma proprio per questo fascinoso. A. Ruggiero Canzone fra le guerre Impervia e delicata, particolarmente toccante nell’esecuzione corale a cappella. D. Silvestri La Paranza Scanzonata esercitazione tropicalista costruita con mestiere ed astuzia. Tosca Il terzo fuochista Filastrocca popolaresca, ruspante, sbilenca, e deliziosamente naive.

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