Sanità pubblica, un lungo cammino

Il percorso di una riforma a 40 anni dall’introduzione del Servizio sanitario nazionale in Italia. Un contributo (prima parte)  
ANSA/ALESSANDRO DI MARCO

Ricorre quest’anno, tra gli altri, a fine anno, il 40° anniversario della fondazione del Sistema sanitario nazionale (Ssn), la nota “Riforma sanitaria”, quella che tra l’altro fondò le Ulss. Vedasi l’inchiesta “Sanità al bivio” pubblicata sul numero di dicembre 2018 della rivista Città Nuova.

È un anniversario importante perché, anche se non se ne parla mai, la legge 833 del 23/12/78 (relatrice Tina Anselmi) diede all’Italia quello che venne riconosciuto, all’estero, come il Sistema sanitario più avanzato di tutto il mondo occidentale. Il legislatore di allora, infatti, ebbe la semplice intelligenza di ispirarsi ai sistemi sanitari più avanzati, soprattutto quelli scandinavi e britannico.

Prima il diritto alla salute non era garantito ai cittadini. Altrove, come negli Usa e in molti altri Paesi, vigevano e vigono ancora sistemi di tipo mutualistico e assicurativo organizzati dalle varie categorie professionali: pagavi un premio assicurativo, un contributo, una retta periodica e l’Ente mutualistico ti assisteva. Per l’art. 32 della Costituzione della Repubblica, inoltre, lo Stato tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo nell’interesse della collettività.

Il concetto di salute cui i moderni sistemi sanitari si rifacevano era quello adottato dall’Oms nella sua carta fondativa del 1948: salute non è semplice assenza di malattia ma la condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale. Per il sistema di “tutela sociale” introdotto dunque dalla legge 833, il cittadino italiano, ora, come quello britannico o svedese, era assistito in quanto cittadino (in Gran Bretagna si era assistiti, a prescindere dalla cittadinanza solo per il fatto di trovarsi sul suolo britannico). E cambiava il paradigma della sanità. Non più cura delle malattie e basta; i tre obiettivi della sanità pubblica erano cura, prevenzione e riabilitazione e il Servizio sanitario veniva erogato in nome di principi di pari dignità del cittadino, di equità, di economicità e di appropriatezza. A posteriori questi concetti sembrano quasi ovvii, ma all’epoca erano veramente avveniristici.

Alla luce di questi principi, le novità della riforma erano tante; per la prima volta lo stesso ente si faceva carico, non solo della malattia, sia organica che psichica, ma anche del disagio sociale, della cura, della prevenzione delle malattie, della riabilitazione. Diventavano quindi obiettivi del Sistema panitario pubblico l’educazione sanitaria, la prevenzione degli infortuni, l’igiene degli alimenti e degli ambienti, la medicina veterinaria. C’è un altro concetto, quasi avveniristico, difficile da comprendere allora: l’educazione sanitaria, cioè la formazione di una moderna coscienza sanitaria sulla base di un’adeguata educazione sanitaria del cittadino e delle comunità. Pensate alla cultura del lavaggio delle mani, alla educazione alimentare, a quella del bere alcol con moderazione e della prevenzione, in genere, degli incidenti domestici e stradali e sul lavoro.

Il nuovo ente con questo ampio range di competenze si chiamava Ulss, Unità locale socio-sanitaria, e aveva una specifica caratterizzazione territoriale, era diffusa capillarmente nel territorio, fino ad oltre 30 Ulss per regione. Le Unità erano governate da un “comitato di gestione” di nomina politica che faceva riferimento a alla Conferenza dei sindaci locali.

Come era accaduto negli anni ’70 per gli Enti mutualistici, del nuovo sistema andò presto in crisi la sostenibilità economica. Era troppo costoso per l’economia delle Usl e per questo venne presto introdotta la partecipazione del cittadino alla contingente spesa sanitaria, con il cosiddetto ticket (dal francese ticket modérateur). E i problemi non finirono qui. Era caduto intanto il blocco socialista sovietico e l’Italia iniziò a ricevere perentori ordini dai poteri forti dell’economia mondiale (2 giugno 1992, panfilo Britannia). I Paesi come l’Italia dovettero allinearsi ai sistemi sanitari di altri potenti Paesi. Nel governo Amato l’incarico di una nuova riforma venne dato al liberale Giovanni De Lorenzo. Venne approvata così, senza discussione parlamentare, la legge 502/93. Cardini di questa nuova riforma erano l’aziendalizzazione delle Usl, l’apertura della Sanità al “mercato”, la redistribuzione di responsabilità alle regioni e alle stesse nuove Aziende Ulss. Vennero sciolti i Comitati di gestione, organi collegiali di governo delle Unità locali. La nuova Azienda (Asl) ha come legale rappresentante un direttore generale, manager monocratico nominato personalmente dal presidente della Giunta regionale, che il legislatore immagina come autorità garante super partes. Per il suo incarico il direttore risponde del buon andamento economico-amministrativo e tecnico-funzionale dell’Azienda. Nascono la libera professione intramoenia e i servizi aggiuntivi a carico del paziente ospedaliero. Cambiano radicalmente i sistemi di finanziamento delle aziende e la distribuzione delle risorse. Si riduce il numero delle Ausl e sono mille altri i dettagli in cui la legge 502 modifica radicalmente il regime sanitario per cui il dissenso è enorme. Il DL 502 (art. 9 “Forme differenziate di assistenza”) in realtà apre le porte alla creazione di un sistema sanitario privato parallelo in mano alle mutue e alle assicurazioni.

Lo chiamano “andare in Europa”, ma in realtà è il tentativo di smantellare il sistema di tutela sociale della sanità italiana. Il DL 502 si ispira a una analoga riforma varata l’anno prima in Inghilterra da una leader liberista di allora, il premier Margaret Thatcher. La riforma inglese aveva aziendalizzato, appunto, le USL ed introduceva la concorrenza fra i fornitori di servizi sanitari: qui le forze che non volevano un efficiente e moderno Ssn lavoravano all’attacco. Nella primavera del ’93 la stampa conia il termine “malasanità” destinato a un ingenuo piano di discredito della sanità pubblica. Un grave incidente mortale in una clinica privata di Milano manda all’aria il progetto di creare nell’immaginario della gente una “malasanità” pubblica e una “buona sanità” privata…

Volano gli stracci. L’on. Anselmi, relatrice della prima Riforma sanitaria (legge 833/78) in un’intervista ad Avvenire tuona: «De Lorenzo è un imbroglione e tutta questa riforma è un imbroglio». De Lorenzo, con l’acqua di Tangentopoli alla gola, tenta in modo patetico di difendersi giudicando poco caritatevole la critica giunta da una cristiana come la Anselmi…  Qualcuno chiama ormai “controriforma” la legge 502/93.

Si raccolgono in piazza le firme per due referendum abrogativi della legge 502. De Lorenzo per i problemi giudiziari abbandona frettolosamente il governo e la politica.

(continua)

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons