Saltare “alla canguro”

Altri esempi e similitudini nell’arte pedagogica di Chiara Lubich.
Disegno di Valerio Spinelli

La sapete la storia della tartarughina acquatica che non voleva saperne di crescere? Sta diffondendosi col passaparola trai miei amici, dopo che ce l’ha raccontata Waris, un pachistano residente a Roma con la famiglia. Dato il contesto in cui è stata narrata, è piaciuta al di là di ogni aspettativa per il suo profondo significato. Eccola.

 

La tartarughina, un regalo di Waris e di sua moglie Giuseppina a una delle loro bambine, malgrado le cure e il mangime adatto, rimaneva sempre piccola e a rischio sopravvivenza. Ma una volta trasferita dalla sua vaschetta casalinga nel laghetto di un parco cittadino, dove ha trovato altre tartarughe già cresciute, ha raggiunto in breve tempo la loro stessa dimensione. Come a significare: da soli è difficile maturare anche soltanto dal punto di vista umano, in quanto l’habitat naturale di noi cristiani, per progredire nella santità, è la comunità, dove l’aiuto dei fratelli è fondamentale.

 

Come mai ha avuto e sta avendo tanto successo nella cerchia dei miei conoscenti questa che sembrerebbe niente più che una simpatica storiella? Perché si avvale di metafore – la tartarughina, il laghetto abitato da altre sue compagne – fatte apposta per colpire l’immaginario.

 

È lo stesso motivo per cui rimangono impressi, per il loro significato sapienziale, numerosi esempi utilizzati da Chiara Lubich per rendere accessibili e popolari le realtà spirituali nate dal carisma dell’unità. L’abbiamo già visto in un precedente articolo quando, seguendo le lettere dell’alfabeto, ne abbiamo riportato una prima serie. Sulla scorta ora della tartarughina citata, diamo qui un altro saggio dell’arte pedagogica di Chiara, attingendo stavolta da esempi del mondo animale e vegetale.

 

B come betulla, bambù, banana

«È un albero che ha tutti i rami belli diritti, però è talmente elastico che se tu prendi un ramo proprio in cima lo puoi tirare giù fino a terra; se poi lo lasci andare, zac! torna subito a posto. Così siamo anche noi, che sempre andiamo giù perché siamo un po’ avviliti, un po’ addolorati, e c’è tutto un mondo che ci tira giù. Noi dobbiamo fare come la betulla e tirarsi su subito, dicendo: “Ricomincio, ricomincio sempre a vivere l’ideale dell’unità”».

«Ieri ho parlato a tremila persone della comunità di Manila. Mi sono dilungata ancora sul Risorto e ho indicato, come esempi, perché sappiano amare bene, la canna di bambù che si piega e non si spezza e la pianta di banana che, dati i frutti, muore. Fino a questo punto dobbiamo amare anche noi i nostri fratelli».

 

C come canguro, chioccia

«Il Signore vuole che nell’attimo presente siamo tutti lì, con due piedi. Noi dobbiamo camminare nella vita non un passo dietro l’altro, ma un salto dopo l’altro: saltare dentro la nuova volontà di Dio, senza pensare al passato, al futuro. Allora, dobbiamo camminare “alla canguro”».

«I santi erano nella pace piena, anche in mezzo alle più drammatiche situazioni, fidandosi di chi conosce anche tutti i capelli del nostro capo e si prende cura di noi come la chioccia dei suoi pulcini».

 

E come emù

«Ha detto Gesù: “Chi mette mano all’aratro e guarda indietro non è atto al regno di Dio”. Questo giovane continente, l’Australia, ce lo ricorda poi col suo stemma che porta due animali locali, scelti appositamente perché non sanno camminare indietro: il canguro – il famoso canguro! – e un uccellone di nome “emù”. Anche noi dobbiamo camminare sempre avanti, con coraggio. E per camminare, lo sappiamo, abbiamo la Parola di vita che è “lampada per i miei passi” – dice un salmo – e “luce sul mio cammino”».

 

F come farfalla

«È brutta la crisalide nella sua trasformazione, ma poi sarà farfalla. Così è di noi uomini. Più ci sembra che qualcosa dica fine e morte – dobbiamo ricordarcelo – più ancora essa annuncia vita».

 

G come girasole

«Come girasoli che si girano sempre a guardare il sole, i gen (i giovani dei Focolari, ndr) debbono rimanere, di fronte e chi ci rappresenta Dio, come davanti a Dio».

 

L come legni (incrociati)

«Come due legni incrociati alimentano un fuoco consumando sé stessi, è necessario vivere attimo per attimo tutte quelle virtù (pazienza, prudenza, mitezza, povertà, purezza, ecc.) che all’anima sono richieste perché l’unità soprannaturale coi fratelli non venga mai meno».

 

N come noce

«Signore, ci accorgiamo che molti difetti sono in noi. Ma abbiamo la gioia di sapere con sicurezza che l’“essere la tua Parola viva” ci toglie ogni scoria, ci fa uscire attimo per attimo nuovi, come una noce dal guscio».

 

O come osso (di pesca)

«L’anima degli uomini immaturi non vuol staccarsi dal corpo come l’osso della pesca ancor verdastra. L’anima, invece, degli uomini maturi per il Cielo vuol fuoriuscire dal corpo come da un carcere, per fissarsi in Colui da cui corpo e anima ebbero principio».

 

P come pesce

«Non credere che, perché sei nel mondo, tu possa nuotarvi come un pesce nell’acqua».

 

R come radici

«Il diametro della chioma d’un albero corrisponde, spesso, al diametro delle radici. Un’anima è dilatata dalla carità di Cristo quanto dolore ha sofferto e offerto per lui».

 

V come verme (della terra), vigna

«Ho visto un piccolo verme sulla terra accanto a un cimitero vicino a una chiesetta. Quel verme poteva uscire da quei morti. Pensai a Lui: verme della terra. Gesù abbandonato è il verme della terra e si è fatto così affinché la nostra carne (quando l’anima sarà in Cielo) e sarà tutta un verme, canti all’amore abbandonato che è così simile a lei, sposo suo. Così tutto il creato e anche gli esseri più spregevoli e schifosi cantano all’amore».

«Abbiamo sempre visto l’Opera di Maria come la vigna di Gesù abbandonato. Ed ora un pensiero mi torna in mente. Dopo 56 anni di vita del movimento, posso contemplare i suoi tralci e i suoi pampini su tutta le terra, e i grappoli succosi che continuano a nutrire un popolo nuovo».

 Oreste Paliotti

 

BOX

Visione, senso, metodo

L’uso di esempi, immagini, parabole è tipico del maestro che vuole risvegliare l’attenzione e accendere la fantasia dei suoi allievi. Parlare per similitudini è una vera arte educativa, soprattutto nell’insegnamento dei grandi maestri. Così anche in molti scritti e conversazioni di Chiara Lubich: similitudini create per amore; ardite immagini per aiutarci a non perder l’orientamento; vivide rappresentazioni a noi familiari per spronarci meglio.

 

Ne emerge una ben delineata visione dell’essere umano e del senso della vita, da più punti di vista: da quello fisico e sociale come “essere in relazione” (in questa «fitta boscaglia» che è il mondo, noi siamo gli uni agli altri «vasi comunicanti»; dove amando si è riamati, formando così «una rete di fraternità») a quello conoscitivo («passerò come fuoco, che consuma ciò che ha da cadere e lascia in piedi solo la Verità») a quello filosofico-teologico di una vita orientata a lui che è amore («filo d’oro» di una vita collettiva che ci pone «subito in vetta, in alto»; «sulle parole, sulle orme» di Gesù).

 

Ne emerge un chiaro orizzonte per il nostro esser nel mondo, per l’educare e l’educarci: raggi diversi e distinti, che quanto più si avvicinano a Dio, come a un sole, tanto più riescono ad essere “tutti-uno”.

 

Una visione il cui obiettivo è la formazione dell’uomo completo, che per realizzarsi ha bisogno di una mèta, ma anche di un metodo per poterla raggiungere. Così prendono rilievo in Chiara suggestive immagini che fungono da linea metodologica, come la bussola per un naufrago, coscienza che «indica la strada nel buio», voce dello Spirito in noi, camminando un salto dopo l’altro «alla canguro» per centrare la volontà di Dio, nell’attimo presente; attraverso l’inevitabile dolore di certi avvenimenti, perché «solo passando per il gelo si arriva all’incendio»; consapevoli che tutto dipende da un continuo allenamento, elastici come betulle, pur piegati dal peso di un mondo che spesso ci butta giù, ma capaci di tirarci su riuscendo a «ricominciare».

Michele De Beni

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