Rocco, Camillo e il naso di Cavour

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Avolte i monumenti spariscono… non già a causa di furti, ma di restauri! Mesi e mesi dietro teloni e impalcature, dove sembra non succeda niente, tanto il lavoro dei restauratori si svolge nel silenzio. Poi un bel giorno si tolgono i teli, si smontano i ponteggi… et voila quel monumento appare nuovo e tirato a lucido come non mai. Merito di chi, con pazienza certosina, ha lavorato duramente nascosto alla vista di tutti, in posizioni scomode, con ogni tipo di clima, spesso dovendo affrontare delicate scelte di intervento. Una professione affascinante, quella del restauratore d’arte, che richiede di spaziare in tutte le epoche, tutti gli stili, tutte le tecniche; di avere una conoscenza incredibile di ogni tipo di materiale; e inoltre di saper entrare in sintonia speciale con l’opera affidata alle sue cure e con chi l’ha creata… Due di questi a loro modo artisti sono intenti al restauro conservativo del monumento a Camillo Cavour nell’omonima piazza romana, a pochi passi da casa mia. Amici per la pelle, Rocco, calabrese di Girifalco, e Camillo, abruzzese di Penne, hanno messo su famiglia a Roma, dopo aver iniziato insieme questa professione poco più di dieci anni fa. A volte impegnati in cantieri diversi, in genere finiscono per lavorare in tandem. Come adesso. Mi accolgono in tuta da lavoro e mi fanno strada sui ponteggi, finché mi trovo faccia a faccia con un maestoso enorme leone facente parte dei gruppi bronzei che ornano la base del monumento allo statista piemontese. Tranne una puntata a Luxor, in Egitto, dove hanno lavorato nella tomba di Amenophi III per conto dell’Unesco, l’ambito di intervento dei due abbraccia più che altro Roma (con restauri importanti come la facciata di San Pietro in occasione del Giubileo), Lazio e Abruzzo. Si tratta di una loro scelta, mi spiegano, a costo di rinunciare a committenze anche prestigiose. Come mai? Rocco: La nostra è una professione che porta ad essere un po’ vagabondi, il che costituisce un problema per chi, come noi, ha famiglia. Tanto è vero che le stesse ditte committenti preferiscono persone libere da impegni familiari per potersi muovere con maggiore libertà. Conosciamo colleghi che, anche a causa delle numerose trasferte, sono arrivati perfino a divorziare. Per questo noi puntiamo a lavorare il più possibile nei dintorni; e quando si tratta di allontanarci lo facciamo sempre a malincuore perché in qualche modo la vita familiare ne risente. Camillo: Già, io poi ho due figli piccoli… Però la nostra chance sta nel rapporto fra noi; e questo suscita l’attenzione di colleghi e datori di lavoro, perché ci vedono persone felici di essere quello che siamo, affidabili. È il nostro modo stesso di essere e di lavorare che a volte lascia il segno in un ambito dove non sempre la capacità professionale combacia col saper stabilire rapporti nella semplicità. Ma va sempre tutto bene tra voi o qualche volta vi capita di avere divergenze riguardo al modo di lavorare? Camillo: Non qualche volta, ma quotidianamente, tanto più che abbiamo carattere e sensibilità differenti. Quando non lavoriamo sullo stesso elemento, in qualche modo arriviamo al medesimo risultato pur seguendo ognuno una sua metodologia d’intervento…. …ma se dovete lavorare tutti e due, che so io, sul naso di Cavour…? Camillo: È qui il problema: trovare la soluzione adeguata che soddisfi entrambi. Bisogna infatti esprimere la propria opinione ma anche, se necessario, saperla mettere da parte. Però quella del naso di Cavour può essere l’occasione per un rapporto rinnovato con l’altro, che poi dà senso anche al tuo lavoro. Non sempre ci riusciamo, e allora andiamo in crisi, ma questa sofferenza si risolve in una crescita per capire per cosa vale la pena vivere. Sì, una crescita. A volte infatti, per una stupidaggine, non ci parlavamo per giorni; adesso invece ci chiariamo subito e ricominciamo. Si sente che il rapporto è maturato. Non è perfetto, ma siamo in cammino. Rocco: Secondo me, aiuta molto valorizzare il positivo che c’è nell’altro e, attraverso il dialogo, pian piano arrivare ad una scelta comune. Puoi fare un esempio concreto? Rocco: Ad esempio stamattina Camillo stava integrando con la foglia d’oro le scritte in bronzo dorato dell’epigrafe al suo illustre omonimo. Aveva già fatto una prova qualche giorno fa, e per invecchiare la scritta aveva usato un determinato materiale il cui risultato però non mi aveva convinto. Appena arrivato in cantiere, gliel’ho fatto notare, invitandolo a provare con un altro. Camillo: Rocco è un perfezionista (che in certi casi è proprio ciò che ci vuole), mentre io sono un po’ più artista. L’intervento fatto da me comunque si integrava, ma ho preferito fidarmi, e in seguito mi sono accorto che il suo non era eccesso di zelo: effettivamente si trattava della soluzione migliore, per cui è valso la pena perdere la mia idea. Rocco: Camillo invece è molto più bravo di me a dettare i tempi del lavoro, cosa fondamentale perché se domani dobbiamo consegnare un lavoro, cascasse il mondo bisogna consegnarlo. Mentre a volte, per il fatto di essere più preciso, più tecnico, faccio fatica a capire quando posso attardarmi in una rifinitura e quando invece devo chiudere il cerchio in fretta. Nel caso di questo monumento a Cavour, quali difficoltà avete incontrato? Rocco: A livello preliminare di studio, perché qui era già stato fatto in passato un intervento di restauro, ed è stato abbastanza complicato capire quali materiali avevano usato… La Soprintendenza ci dà le coordinate generali, ma poi tocca a noi verificare nel cantiere. Direi di più: a volte noi possiamo anche sconvolgere quelle che erano le previsioni, in quanto a volte si evidenziano tecniche d’esecuzione che non si pensava l’artista avesse usato; oppure – è il caso di questo monumento – si è costatato che la fusione era stata fatta da due fonderie diverse, una per la statua di Cavour e una per i quattro gruppi della base. Camillo: Ogni superficie reagisce in modo diverso, per cui ogni centimetro quadrato ha bisogno di un’attenzione, di una soluzione particolare. Sta a noi, nell’intervenire, saper virare a seconda della situazione per dare l’equilibratura totale. Ci saranno però regole precise di riferimento… Camillo: Certo, e derivano sostanzialmente dalla Storia del restauro di Cesare Brandi, che attualmente fa testo. Per esempio, parlando di un affresco, ci sono ricostruzioni che non si possono fare al di là di un certo limite; a meno che il soprintendente non decida di sua iniziativa i criteri. Due sono le istanze da tener presente: quella storica e quella estetica, e quest’ultima deve prevalere. Adesso in che tipo d’intervento siete impegnati? Rocco: Stiamo rifinendo la pulitura della base. E qui fino ad una certa altezza sono riapparse una serie di vecchie scritte dovute ad atti vandalici; scritte che non è facile rimuovere perché il solvente dello spray usato è stato assorbito capillarmente dalle particelle del marmo. Insomma state preparando la base per nuovi atti vandalici! Rocco: Purtroppo! Pensa, abbiamo fatto dei restauri che il giorno dopo aver tolto i ponteggi già erano ricoperti di scritte con le bombolette spray. Qui sembra verrà avviato un progetto di riqualificazione della piazza e di adeguata protezione del monumento; diversamente sarà inutile questo restauro, perché alla fine ritornerà tutto come prima. E quali le soddisfazioni che dà questo vostro lavoro? Camillo: Purtroppo in Italia non è adeguatamente riconosciuto. Mentre all’estero i restauratori italiani sono i migliori e fanno scuola, qui da noi non c’è un albo professionale, quindi siamo una categoria molto surclassata…. Rocco: Comunque sono molte le soddisfazioni a livello professionale, perché in qualche modo ci si sente parte integrante dell’opera restaurata. Si stabilisce come una reciprocità: noi valorizziamo l’opera d’arte, ma a sua volta l’opera d’arte valorizza noi, il nostro lavoro. Specie quando, in situazioni di eccessivo degrado, o al limite della reversibilità, dobbiamo fare a volte i salti mortali per riportarla ad un grado di leggibilità accettabile.

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