Reciprocità, tra antropologia ed economia

Contrariamente a quanto si potrebbe dedurre dalle pile di piatti non lavati che si accumulano nella cucina di ogni casa abitata da studenti fuori sede, gli esseri umani sono caratterizzati da una spiccata tendenza alla cooperazione. Lo dimostrano, tra l’altro, interessanti esperimenti nei quali i soggetti contribuiscono volontariamente alla fornitura di beni pubblici o incorrono in costi pur di aiutare coloro che li hanno aiutati o punire quelli che si comportano in modo scorretto. Sintomo della generalità culturale di queste tendenza naturale è il fatto che la cosiddetta regola d’oro, dai a chi dà e non dare a chi non dà (Esiodo), nelle sue varie versioni, appaia nei più antichi codici normativi e sia parte centrale della dottrina di tutte le grandi religioni. Quello che la regola d’oro descrive in termini morali è quello che gli scienziati sociali chiamano la norma della reciprocità, ciò che prima delle leggi, dei contratti e degli eserciti, costituisce il cemento della società e il vincolo dell’agire sociale. Alcuni arrivano a sostenere che la reciprocità costituisce la differenza ultima tra inferno e paradiso. Ricordo una storia nella quale i due luoghi sono raffigurati entrambi come saloni con tavole riccamente imbandite. I commensali, sia sopra che sotto, sono forniti di forchette così lunghe da rendere impossibile portare alla bocca tutto quel bendiddio. La pena all’inferno è dunque il non potersi cibare di ciò che pure si ha a disposizione, mentre la gioia del paradiso è di aver capito che, nonostante i forchettoni, ognuno può nutrire l’altro e reciprocamente godere della bontà di quel cibo. Interes- sante quindi il fatto che, fuor di metafora, molti vedano nella reciprocità la garanzia stessa della sopravvivenza della specie. E non solo di quella umana, a dire il vero. Comportamenti reciprocanti sono diffusi in tutto il regno animale: i pipistrelli vampiri, brutti ma generosi, dopo una notte di caccia condividono il cibo con chi non è riuscito a trovarne abbastanza, a patto che questi abbiano fatto la stessa cosa in passato dopo una battuta più fortunata. Le gazzelle africane e molte varietà di uccelli difendono il gruppo dagli attacchi dei predatori emettendo suoni di allarme che attirano l’attenzione dei predatori su di sé, distogliendola allo stesso tempo dal resto del gruppo. I babbuini e altre specie di scimmie si spulciano e si sostengono reciprocamente nella cura dei piccoli. E ancora molti altri esempi si potrebbero trarre dalla infinita fantasia della natura. Eppure aiutare chi ti ha aiutato e punire chi ti ha danneggiato costituiscono, a prima vista, scelte sbagliate se ragioniamo nei termini della teoria dell’evoluzione naturale. I comportamenti reciprocanti infatti, imponendo un costo a chi li adotta, dovrebbero, nella logica darwiniana, estinguersi e non essere trasmessi alle generazioni successive. Ma così non è stato e nell’ultimo secolo gli scienziati, biologi e antropologi, ma anche psicologi ed economisti, hanno faticato non poco per cercare di conciliare teoria ed evidenza, escogitando alcune ingegnose spiegazioni, dalla selezione di gruppo all’altruismo reciproco, dalla reciprocità indiretta alla sua versione forte. In questo dibattito di grande interesse culturale, ma anche sociale e politico, si innesta l’ultimo libro di Luigino Bruni Reciprocità.. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile (Bruno Mondatori Ed). Bruni affronta il tema mettendo in luce le diverse conseguenze per lo sviluppo di una comunità della presenza più o meno diffusa, tra i membri, di atteggiamenti differenti: alcuni possono essere disposti in genere a cooperare, altri a farlo solo se anche gli altri lo fanno, altri ancora a non cooperare mai. L’idea portante e più originale del libro è quella secondo la quale le tre principali forme di organizzazione delle relazioni economiche, la gerarchia (lo Stato), il contratto (il Mercato) e la reciprocità (la società civile), sono tutte, in qualche modo, riconducibili ad una forma generale ed ampia di reciprocità. Questa intuizione si dimostra particolarmente feconda perché capace di dar conto dell’eterogeneità dei valori e dei comportamenti presenti nelle società moderne. Una comunità di individui tutti uguali è destinata all’isolamento quando non al fallimento, siano essi tutti peccatori o tutti santi. Una comunità pluralista, al contrario, cresce, e cresce in particolar modo se alcuni dei suoi membri si aprono agli altri, gratuitamente, in un dono incondizionato. Alla fine di un affascinante percorso di ricerca Bruni sembra aver riscoperto attraverso gli strumenti dell’economia la duplice logica evangelica del chicco di grano che porta frutto solo se muore e del sale della terra: del poco che in maniera misteriosa trasforma dall’interno ciò che gli sta attorno.

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