Ravenna capitale

La “capitale del mosaico” aspira al titolo di “capitale europea della cultura 2019”.
sant'Apollinare Nuovo

Fa un certo effetto veder apparire da dietro una vetrina Teodora di Bisanzio in gigantografia: te li senti addosso quegli occhi enigmatici, venuti dal passato, ora che sono al tuo livello e non guardano dall’alto nel celebre mosaico di san Vitale, dove l’imperatrice è raffigurata insieme a Giustiniano e a uno stuolo di dame e dignitari. E pensare che lei a Ravenna, dove è “di casa” per le innumerevoli riproduzioni, non c’è mai venuta.

 

Sono tornato nella città famosa in tutto il mondo per i suoi mosaici bizantini, che vanta ben otto monumenti dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità: oltre alla basilica di san Vitale, il mausoleo di Galla Placidia, i battisteri degli ariani e degli ortodossi, la cappella arcivescovile, le basiliche di sant’Apollinare in Classe e sant’Apollinare Nuovo, il mausoleo di Teodorico. Tesori per lo più apprezzabili all’interno, dove rivelano tali visioni di ori e colori nelle superfici mosaicate da evocare splendori paradisiaci.

 

Ma perché non si abbia un’immagine riduttiva di una città dalla personalità ben più complessa, a queste testimonianze paleocristiane vanno aggiunte quelle – anch’esse cospicue – delle epoche successive. Non solo: da un decennio in qua il capoluogo romagnolo sta puntando all’ampliamento e valorizzazione del suo patrimonio architettonico e storico-artistico con un ventaglio di progetti che ha pochi confronti nel territorio nazionale. E che riguardano, attorno alla basilica classense, gli scavi tuttora in corso dell’antico porto, destinato a diventare un grande parco archeologico; la Domus dei “Tappeti di Pietra”, la settecentesca chiesa di sant’Eufemia e il trecentesco complesso di san Nicolò, sede di eventi espositivi di assoluto rilievo, fino all’ultima realizzazione: la mostra permanente “TAMO: tutta l’avventura del mosaico”. Mancava infatti, nella città più rappresentativa di questa affascinante pittura di pietra, un luogo che ne illustrasse in maniera esaustiva l’iter con reperti originali, copie e istallazioni multimediali.

 

In questo quadro, che comprende anche la recente apertura al pubblico di luoghi prestigiosi come la Cripta Rasponi e i Giardini pensili nel Palazzo dell’amministrazione provinciale, il Laboratorio di restauro dei mosaici antichi è destinato a diventare un vero e proprio centro di eccellenza a livello internazionale. Motore di questa molteplice attività, che comporta anche una gestione “imprenditoriale” dei beni in questione, è la Fondazione RavennAntica.

Ce n’è abbastanza per giustificare la candidatura della città al prestigioso titolo di capitale europea della cultura per il 2019, come annuncia uno striscione nella centrale piazza del Popolo: sarebbe la quinta volta per Ravenna, già capitale dell’Impero Romano d’Occidente (402-476), del Regno ostrogoto (493-553) e dell’Esarcato bizantino (568-751), e oggi “capitale del mosaico”.

 

Ma oltre queste eccellenze di storia e arte, Ravenna affascina con la grazia umile di certe viuzze meno percorse dal flusso di visitatori, che pur riservano qua un portale scolpito o un interno ombroso di cortile, là un balcone marmoreo o l’hortus conclusus di un giardino, quasi a preparare l’incontro col monumento segnalato negli itinerari turistici, così come – ed è un paragone che prendo dal Ravenna Festival – nell’opera lirica sono gli “ariosi” a legare i grandi spazi melodici delle arie e dei concertati.

 

È onnipresente, in questa città sorta in luoghi paludosi a pochi chilometri dalla costa adriatica, il tema acquatico: appare nei mosaici (vasi e pozze a cui si dissetano colombe, pavoni e altri volatili, oppure cervi: altrettanti simboli dell’anima che anela a Dio) e perfino nelle venature dei marmi delle antiche basiliche che sembrano suggerire il moto ondoso. Lo stesso mausoleo di Galla Placidia con la sua penombra azzurro-verde riserva al visitatore atmosfere da acquario. E acque reali, causa il lento e progressivo abbassamento del suolo, inondano le cripte di certe chiese con tanto di pesciolini rossi guizzanti sui mosaici pavimentali.

 

Acque poi affiorano negli scavi in corso a Classe, là dove era il porto che per secoli assicurò le comunicazioni con l’Oriente prima di venire spodestato da Venezia. Qui fervono i lavori per il recupero dell’ex zuccherificio destinato a diventare il nuovo Museo archeologico. E qui, nella basilica di sant’Apollinare oggi isolata e immersa nel silenzio, ripenso al turista tedesco che – m’è stato detto – torna ogni anno solo per ammirare questa suprema armonia di marmi e mosaici il cui centro è, nella conca verde-oro dell’abside, la grande croce gemmata sopra il santo patrono di Ravenna che vi campeggia attorniato da agnelli (i fedeli), in un ameno giardino con alberelli fra cui volteggiano uccelli, simbolo della felicità paradisiaca. Sono muti gli uccelli del mosaico, ma in compenso arriva fin qui, dall’esterno, il cicaleccio di quelli reali. Se quel turista viene a cercare ristoro spirituale in questa immensa aula colonnata, davanti a questo mosaico pacificante lo trova di certo.

Continuando il mio itinerario fuori delle mura, rivedo isolato in un parco di recente realizzazione quell’unicum che è il mausoleo di Teodorico, il discusso re degli ostrogoti il cui regno, durato 33 anni, regalò alla Penisola un raro periodo di pace e di prosperità, riuscendo a far convivere cultura romana e germanica, fede cattolica e fede ariana: la sua. Morto nel 526, venne sepolto in questa singolare torre che per la fusione di elementi romani e germanici appare «un’espressione pietrificata – è stato scritto – di ciò che Teodorico ebbe in sorte di vivere e di esprimere nel suo destino e nella sua vicenda politica».

 

Ma Ravenna non è solo Teodora o sant’Apollinare o Teodorico: è anche Dante, che alla fine del suo peregrinare di esiliato trovò amichevole asilo presso i da Polenta, signori della città; e qui morì nel settembre 1321, di ritorno da un’ambasceria a Venezia, avendo contratto la malaria nelle vicine paludi di Comacchio. Le ceneri del poeta sono ora custodite in un tempietto settecentesco accanto alla chiesa di san Francesco: un luogo appartato che invita al silenzio e alla meditazione, tra antichi chiostri e quei sarcofagi di cui Ravenna vanta forse gli esemplari più notevoli.

 

E a proposito di sepolcri, mi viene in mente D’Annunzio, che tra le “città del silenzio” da lui cantate incluse quella romagnola, preferendo però all’immagine del mosaico, legata alla visione cristiana, il simbolo laico rappresentato da Guidarello Guidarelli, uomo d’arme al servizio dei Borgia, ucciso nel 1501 in un duello e reso celebre dallo straordinario monumento funebre scolpito per lui da Tullio Lombardo. Dopo ripetuti spostamenti dal luogo d’origine, l’effigie marmorea del bel condottiero ha finalmente trovato pace nell’accademia delle Belle arti, dove più difficilmente lo raggiungono i baci furtivi delle sue ammiratrici che hanno contribuito a conferirgli un alone romantico.

 

Dopo aver contemplato Guidarello mentre, vestito di corazza, «dorme supino con le man conserte sulla spada sua grande», m’accoglie, nella vicina chiesa di santa Maria in Porto, la dolce e maestosa “Madonna Greca” ricordata anche da Dante, protettrice della città. Attribuito all’XI secolo, questo raffinato bassorilievo in marmo pario che tradisce la sua provenienza da Costantinopoli è legato a una tradizione che lo vuole giunto miracolosamente dal mare sul lido ravennate la domenica in Albis dell’anno 1100, scortato da due angeli con torce fiammeggianti. Da allora Ravenna si definisce “città di Maria”, come testimoniano nella sua storia millenaria le chiese e cappelle dedicate alla Vergine sotto i più svariati titoli e le sue innumerevoli immagini. Maria, tramite ancora oggi tra Occidente e Oriente.

 

 

Parliamo di Ravenna

 

A Palazzo Merlato, sede del comune, incontro la dott.ssa Giovanna Piaia, una lunga attività nell’ambito della salute mentale (psichiatria) e ora al suo secondo mandato come assessore comunale per quanto riguarda servizi sociali, sanità, diritti degli animali, casa, volontariato, politiche e cultura di genere.

 

10 e lode a Ravenna per come sono tenuti i suoi monumenti. Quali ora le sue prospettive e le sue sfide?

«Fa piacere ascoltare pareri positivi da chi ci osserva dal di fuori. Chi infatti, come me, è sempre vissuto a Ravenna e ha un ruolo di responsabilità non sempre riesce a cogliere certe qualità come invece chi viene a visitare la nostra città. Anche perché, per quanto sia alto il livello dei servizi e dell’accoglienza, noi siamo piuttosto severi con noi stessi, difficilmente ci appaghiamo di un risultato raggiunto. La candidatura a capitale europea della cultura ci sollecita poi a non cullarci sulle ricchezze artistiche e culturali del nostro passato: la nostra ambizione, infatti, è di creare degli obiettivi da trasmettere alle future generazioni dal punto di vista culturale. È il caso del Ravenna Festival e delle due rassegne dedicate a Dante, eventi prestigiosi che, malgrado i costi, riservano alcuni appuntamenti gratuiti e fruibili anche da chi non ha un livello economico e culturale alto».

 

Ravenna presenta ormai un volto multietnico…

«Siamo una città in cui l’immigrazione si è sviluppata solo negli ultimi dieci anni: la circolazione e l’integrazione di gente nuova sono quindi per noi un’esperienza recente, che però vogliamo coniugare con un passato di città portuale, abituata quindi al passaggio di popoli diversi. È vero che noi siamo un po’ spigolosi, di natura, ma dietro la facciata siamo sensibili ai sentimenti, alla solidarietà. La presenza di numerose associazioni di volontariato nell’ambito socio-sanitario, culturale o sportivo dice appunto la nostra disponibilità a una crescita aperta agli altri: e questo anche quando parliamo di associazioni di categoria, relative quindi alla produttività. È difficile che un comportamento discriminatorio o escludente non susciti da noi una critica sociale o delle iniziative di accoglienza, pur non essendo assente neanche qui il fenomeno dell’intolleranza».

 

Per una città che ha sempre mantenuto un buon livello di vita, cosa comporta l’attuale crisi economica e lavorativa?

«Siamo preoccupati: sarà difficile accettare i cambiamenti. Contro un dato occupazionale delle donne che supera il 60 per cento, in una media nazionale che è di poco superiore al 40 per cento, sono in crescita anche da noi i dati negativi della disoccupazione giovanile. Un po’ di tenuta viene dai lavori stagionali offerti da Marina di Ravenna, dal parco divertimenti di Mirabilandia… E quanto alla povertà, si registra un aumento dei senza tetto che vivono di espedienti: un fenomeno nuovo per noi, a cui dobbiamo far fronte tenendo conto del calo delle risorse. Purtroppo, con i tagli che sono stati fatti a livello delle regioni, dovremo decidere se far calare lo standard della qualità dei servizi o ridurre gli stessi, parola questa che noi non riusciamo ancora a pronunciare».

 

Lei si occupa anche di politica delle donne…

«L’associazionismo delle donne è molto sviluppato da noi. Il passaggio nuovo che le donne si devono dare non sta solo nell’evidenziare i temi delle disuguaglianze, delle disparità di genere per un bisogno di pari opportunità, ma nell’essere considerate soggetti politici a tutti gli effetti, la cui immissione nella sfera produttiva e pubblica può dare un apporto insostituibile per il governo della città. La parola chiave è “cura”: chi da sempre si è occupato di cura della casa è capace di portare quei valori, quelle capacità, quella intelligenza anche fuori dell’ambito domestico, come forza da immettere dentro la politica».

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