Quei duellanti senza pace

Al secondo anno di tournée la messinscena del romanzo di Conrad con Alessio Boni e Marcello Prayer, e la regia di Roberto Aldorasi. L’ossessione del duello con la stessa vita, contro il proprio doppio
Alessio Boni e Marcello Prayer (ph. Federico Riva)

 

Un mondo d’altri tempi quello di cappa e spada. Quello nobile e spietato dei duelli, dei codici d’onore, dell’affronto da riparare. Lo ha espresso in maniera irreprensibile Joseph Conrad con “I duellanti”, romanzo anomalo rispetto alla sua vasta produzione di racconti di mare. È la storia mirabolante di due tenenti dello stesso esercito napoleonico che, nel corso di 20 lunghi anni, per un motivo più che futile, si fronteggiarono in 17 duelli su diversi campi di battaglia, infrangendo il divieto imperiale che vietava ai suoi ufficiali di incrociare le spade l’uno contro l’altro.

Il racconto si identifica con gli anni di Storia attraversati e può essere inteso come una metafora del passaggio sull’Europa della cometa napoleonica. Ma lo scontro è anche tra due opposti livelli di stato sociale – d’Hubert d’estrazione nobiliare, Feraud guascone di ceto medio – e tra due caratteri: il risentimento di uno dei due contendenti e l’altezzosità dell’altro. In realtà, poiché non c’è stata offesa, il motivo di quell’odio profondo e del duello è il duello stesso, il bisogno di contendere, di gareggiare in nome di due concetti dell’onore e della lealtà.

Trasporre sul palcoscenico un romanzo della grande letteratura è di per sé impresa ardua, sempre rischiosa. Se poi si aggiunge l’eventuale trasposizione cinematografica che ne è stata fatta, l’obiettivo di una messinscena fa inevitabilmente i conti con un immaginario condizionante (il riferimento è al film del 1977 di Ridley Scott, “I duellanti”, con Keith Carradine e Harvey Keitel). È quindi da lodare doppiamente l’impresa di un quartetto di coautori a vario titolo, ma insieme per la drammaturgia – Alessio Boni, Marcello Prayer, Roberto Aldorasi e Francesco Niccolini –, sia per il coraggio di un progetto mai tentato di portare a teatro il testo di Conrad, sia per la piena riuscita di uno spettacolo alla quale concorre la condivisione di più menti accomunati da un’etica del mestiere. Con l’aggiunta di citazioni da altri racconti di Conrad – come “La linea d’ombra” o “Il compagno segreto” – il corpus drammaturgico ha assunto maggior corposità e scorrevolezza facendone una riflessione esistenziale dando voce all’ossessione che divora i due contendenti come in un grande gioco di specchi, dove Feraud rappresenta la metà oscura D’Hubert e viceversa. Perché l’avversario più feroce da combattere è quello dentro sé stessi.

Encomiabili, e perfetti nei rispettivi ruoli, i due principali interpreti Alessio Boni, l’elegante D’Hubert, e Marcello Prayer, l’irascibile Feraud, con accanto Francesco Meoni in più personaggi. Quel loro duellare intensamente fisico, maschile, nobile e rabbioso, che richiede sintonia di movimenti, studio del partner, contiene la danza. Perché quella gestualità altro non è che una danza di anime vitali, ossessionate dal duello con la stessa vita, contro il proprio doppio, ombra dalla quale non si riesce, o forse non ci si vuole liberare, perché è la profonda parte di noi. Sarà un duello anche di sole parole, dette frontalmente verso la platea, nell’incalzante e allucinato racconto delle battaglie, o nelle grida e nelle invettive tra i due.

Merito della regia l’aver saputo dare corpo e struttura ad una trama, lineare, ma ricca di colpi di scena considerando anche l’attraversamento di epoche e di luoghi. In questo la scenografia assume una funzione determinante: una vasta pedana fissa con arredi e due alte strutture metalliche che, con diversi rivestimenti e movimenti, tra suggestive variazioni di luci e con la musica espressiva di Luca D’Alberto eseguita dalla violoncellista Federica Vecchio, assumono in dissolvenza, salti di luogo e unità di tempo, passando da una scena a un’altra con cambio di personaggi. Un allestimento avvincente, che mantiene una costante tensione fino all’ultimo duello. Che sarà alla pistola nella semioscurità di un bosco tra fumi e fasci di luce. E sarà quello definitivo. Ma non è detto.

“I duellanti” di Joseph Conrad, traduzione e adattamento Francesco Niccolini con Alessio Boni e Marcello Prayer, e con Francesco Meoni; musiche Luca D’Alberto, scene Massimo Troncanetti, costumi Francesco Esposito, light designer Giuseppe Filipponio, regia Alessio Boni e Roberto Aldorasi. Produzione Goldenart. Al Teatro Comunale di Ferrara e in tournée, tra cui Imola, Teatro Comunale Ebe Stignani, fino al 5/3; Castelfranco Veneto, Teatro Accademico, il 7 e 8; Bologna, Teatro Duse, dal 10 al 12/3; Piacenza, Teatro Municipale, il 14 e 15; Padova, Teatro Verdi, dal 5 al 9/4.

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