Quanti pregiudizi hai?

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Molte persone credono di riflettere mentre stanno solo riordinando i loro pregiudizi, affermava nel secolo scorso il filosofo William James, ben sintetizzando un atteggiamento che, tipico di ogni epoca e dalle conseguenze sempre nefaste per singoli e popoli, non è scomparso ai giorni nostri. Anche perché sembra che siamo afflitti da una nuova sindrome. Ansia da semplificazione, la chiamano, ovvero sì o no, a destra o a sinistra. Così sarebbe oramai abituato il nostro cervello che scatta in azione più davanti ad uno schermo che ad una persona o ad una situazione. Semplificazione eccessiva pure questa, perché non è proprio così, anche se c’è del vero in tale affermazione. Fatto è che l’epoca dei sondaggi, delle statistiche, degli sms, del tempo che manca e via dicendo, porta con sé, tra gli altri effetti, anche una ridotta capacità e possibilità di riflettere sulle cose che succedono, di farsi una propria, ponderata opinione. In questo modo più che sull’esperienza diretta, spesso basiamo le nostre conoscenze sul sentito dire. Quel sentito dire che è lo scalino d’ingresso del pregiudizio. Perché quando si semplifica troppo è facile cadere nell’errore di pensare che questo è così, quell’altro è in quell’altro modo. Punto e basta. In questa operazione, bisogna ammetterlo, ci dà una grossa mano tutto il mondo dell’informazione, che amplifica queste generalizzazioni, visto che siamo figli (e forse anche padri) della globalizzazione. Tant’è che uno può prendersi il gusto di fare il giro del mondo in rete alla scoperta dei pregiudizi più diffusi e stilare una sorta di mappa mondiale dei luoghi comuni. È quanto ha fatto Philipp Lensen, un blogger tedesco che s’è preso la briga di fare una ricerca attraverso il motore di ricerca Google per scoprire quale aggettivo era più associato alle varie nazionalità. Della serie gli italiani sono noti per. E così per i francesi, i turchi, i brasiliani, i cubani… La mappa che ne è emersa costituisce, a detta del suo autore, un’istantanea degli stereotipi globali: alcuni sono già noti, altri più sconosciuti, alcuni possono apparire sciocchi o troppo gentili o addirittura scortesi, ma è quello che le persone hanno scritto sul web nel corso del tempo. E cosa avrebbero scritto? Che gli italiani, lo sappiamo, sono famosi per la pasta e l’abitudine di gesticolare; i tedeschi per la puntualità e la predilezione per la birra; i canadesi come popolo multietnico e tollerante; i francesi per essere romantici e sofisticati; gli svedesi per la loro austerità; i kenioti come grandi corridori; i sudafricani per l’aggressività; i thailandesi per l’ospitalità e il divertimento; i giapponesi per la tecnologia… Non possiamo nasconderci che se tali stereotipi possono risultare del tutto innocenti, questo giro del mondo virtuale ha fatto emergere anche quello che si pensa di alcuni popoli che sono risultati meno amabili di altri, ma stiamo parlando appunto di pregiudizi. Quei pregiudizi che, però, se presi troppo sul serio e non considerati tali, sono molto spesso causa di seri problemi sociali, di guerre, di stermini. La storia insegna. E non solo quella del passato, ma quella che stiamo scrivendo. Sarebbe errato però pensare che i pregiudizi sono solo quelli per i quali un popolo è superiore ad un altro popolo, o una razza è inferiore ad un’altra. Questi sono i più universali e forse anche per questo più conosciuti, riconosciuti e contrastati. Ma, verrebbe da dire, chi di noi è senza pregiudizi scagli la prima pietra. E sono quei piccoli o meno piccoli condizionamenti che regolano i nostri rapporti quotidiani: dall’attribuire maggiore importanza a certi gruppi sociali o a determinate attività lavorative, al pensare che la donna al volante è un pericolo costante, che una persona di colore è meno onesta di noi, che i rom rubano, che una persona vale nella misura in cui è, griffato altrimenti… Se ci pensiamo bene l’effetto più dannoso del pregiudizio, che molto spesso si basa sulle paure del singolo individuo, soprattutto se questi conosce poco l’altra parte in causa, è quello di allontanare fra di loro le persone. Io non conosco, ho paura, dunque preferisco prendere le distanze. E a fare lo sforzo di capire cosa c’è dietro quell’apparente antipatia non ci provo neanche. Dimenticando, tra il resto, che spesso è una questione di prospettiva, come qualche esempio letterario ci insegna. Lo scrittore Jonathan Swift, ad esempio, sottoponendo il suo eroe Gulliver a cambiamenti di situazioni, dimostra quanto sia incerto il confine tra una verità e il suo opposto. Tra i piccoli abitanti di Lilliput, Gulliver sembra essere un gigante, mentre tra gli abitanti giganteschi di Brobdingnag risulta un nano. Se solo ci ricordassimo che esistono altre posizioni dalle quali si possono percepire le cose in maniera diversa da quella dalla quale siamo partiti… Albert Einstein diceva che è più difficile disintegrare un pregiudizio che un atomo. Anche perché se qualcuno del gruppo incriminato si comporta diversamente dall’etichetta che gli abbiamo attribuito, facciamo presto a ricorrere alla categoria dell ‘ e cce z i o n e che conferma la regola. Niente da fare, dunque? Chissà invece quante belle sorprese se riuscissimo a non schematizzarci troppo la vita e le persone che incontriamo ogni giorno. Al via, dunque, la caccia al pregiudizio. Vincitore chi ne scopre di più, prima di tutto dentro di sé.

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