Piromani e pompieri

Quindici vigili del fuoco volontari appiccavano il fuoco e poi lo spegnevano per intascare l’indennità oraria. Il sistema delle assunzioni stagionali alimenta a volte precariato e clientele. Una gestione ambiente da rivedere in profondità

Il caposquadra appiccava gli incendi. Poco dopo, dismessi i panni del piromane, indossava quelli del vigile del fuoco e accorreva per spegnere le fiamme. Accade in provincia di Ragusa, estremo lembo sud dell’Italia. Qui un gruppo di vigili del fuoco volontari (operavano nel distaccamento estivo di Santa Croce Camerina) avevano messo in atto una vera e propria truffa. Simulavano gli incendi, o li appiccavano direttamente, per percepire le indennità spettanti per lo spegnimento (10 euro l’ora).

A mettere in allarme gli inquirenti è stato lo stesso Comando provinciale dei Vigili del Fuoco: ai dirigenti non erano sfuggite le anomalie del “gruppo D”: quando era in turno quel caposquadra, originario di Vittoria, il numero degli interventi si raddoppiava, in alcuni casi si triplicava. Da qui la segnalazione alla Polizia e le indagini della Squadra Mobile che hanno portato a scoprire la truffa. Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali hanno confermato i sospetti: il caposquadra diceva di voler” fare scoppiare una bomba”, gli altri parlavano tra loro con circospezione perché sapevano di essere indagati. Il caposquadra si trova agli arresti domiciliari per truffa e per incendio. Gli altri sono denunciati a piede libero.

Un episodio che appare emblematico e che getta una luce sinistra sugli incendi che hanno funestato la penisola. Uno dei più gravi si è verificato a pochi passi da Santa Croce. Il 30 giugno ed il 2 giugno sono andati in fumo quasi 900 ettari di pineta. Oggi una vasta distesa nera copre i pendii dei colli Iblei in quella zona. Non sarà facile ripristinare un bosco con 70 anni di vita alle spalle. Gli altri incendi degli ultimi giorni (nelle zone di Emma e Messina, in Campania e a Tivoli, dove si sono registrate due vittime, sono gli ultimi anelli di una catena infermale che, nelle ultime settimane, non ha lasciato scampo. Il territorio ha subito danni pesanti.

Non c’è nessuna correlazione tra quanto accaduto in questi mesi e gli arresti. Gli episodi contestati ai quindici vigili del fuoco risalgono agli anni tra il 2013 ed il 2015. Ma sono un campanello d’allarme di una situazione che tanti conoscono, ma rispetto alla quale non si riesce a porre rimedio. Dai pascoli dei Nebrodi che i pastori volevano sfruttare, all’opera probabile dei forestali che chiedevano le assunzioni stagionali (un sistema che, in Sicilia, serve anche ad alimentare il sottobosco del precariato e delle clientele): sono tante le cause possibili (e tutte plausibili) di una serie di incendi che quasi mai sono frutto di autocombustione. La stretta delle indagini deve far sentire il suo peso.

Le politiche di tutela dell’Ambiente sono da rivedere (soprattutto in Sicilia). Di certo, non si può criminalizzare una categoria: i vigili del fuoco o i forestali. Lo Stato e le istituzioni devono difendere il territorio dai piromani. Ma devono anche tutelare i tanti lavoratori che operano correttamente, con fatica, spesso in condizioni estreme. Evitiamo la “diceria dell’untore”.

 

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