Il pilastro sociale europeo

Nella seconda parte dell’intervista a Paolo Venturi, direttore di Aiccon, centro studi Università di Bologna, analizziamo proposte concrete del terzo settore

Secondo programma, il Festival nazionale di economia civile, in programma a Firenze dal 29 al 31 marzo 2019, si concluderà domenica mattina a Palazzo Vecchio con il dibattito intitolato “Fare i conti con la politica” moderato dal direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, tra l’economista Leonardo Becchetti e due ministri: Giovanni Tria (Economia) e Sergio Costa (Ambiente). Si tratterà di vincoli di bilancio, leggi e regolamenti nazionali ed europei.

Di tali questioni abbiamo parlato con il professor Gustavo Piga, tra gli interlocutori del festival, e con Paolo Venturi, direttore di Aiccon, centro studi su Non Profit e Cooperazione dell’Università di Bologna. L’analisi di Venturi permette di conoscere il ruolo niente affatto marginale delle imprese sociali all’interno dell’Unione europea. Un patrimonio poco conosciuto ma decisivo in termini dimensionali. Ma la ricchezza di questa espressione dell’economia civile è molto più ampia.

Paolo Venturi
Paolo Venturi

Qual è tale peculiarità, professor Venturi?

È qualcosa che ha a che fare con la democrazia, che è un bene fragile, che va difeso e su questo l’economia sociale è uno strumento prezioso proprio perché alimenta biodiversità e mutualismo. Non è un caso che la cooperazione sia nata in Europa e la filantropia in Usa. La cultura economica europea nasce da un agire profondamente sociale, ossia legato alla società che lo genera.

In che senso questo discorso riguarda anche la quarta rivoluzione industriale?

Di solito si fa sempre l’errore (culturale) di considerare il sociale come “il rammendo” alle distopie della tecnologia.  Il volontariato e il terzo settore vengono visti come sostituti-funzionali del Pubblico (basti pensare a povertà e inclusione sociale) per riparare danni “sociali”; il non profit viene usato come un antidoto agli effetti negativi che la tecnologia può generare (es. perdita di lavoro, disuguaglianze).

E invece com’è la situazione?

Proprio il nuovo connubio tra sociale e tecnologia può aumentare l’impatto sociale del non profit. Si tratta di guardare alla quarta rivoluzione industriale come una grande opportunità d’innovazione per nuove soluzioni di welfare comunitario, per offrire servizi a basso costo e ad alto impatto per la cura, per stimolare nuove forme di partecipazione dal basso, per generare nuove economie sostenibili.  Dobbiamo essere coraggiosi ed evitare posizioni difensive o di chiusura.

Quali riforme sono necessarie nel contesto europeo?

Ben 15 Paesi negli ultimi 5 anni hanno promosso normative di riconoscimento e promozione dell’economia sociale, proprio mossi dalla consapevolezza che sviluppo e welfare vadano ricomposti. A questo si aggiunge l’approvazione di 20 principi (7 nov. del 2017) che compongono “il pilastro sociale europeo”.

In cosa consiste il pilastro sociale europeo?

Il pilastro europeo dei diritti sociali mira a creare nuovi e più efficaci diritti per i cittadini, strutturati in tre categorie: pari opportunità e accesso al mercato del lavoro, condizioni di lavoro eque e protezione sociale e inclusione. Sfide su cui occorre cambiare paradigma. Queste sono ancora enunciazioni di principio che dovranno poi esser declinate in azioni concrete.

Quali sono queste azioni concrete?

Azioni che non possono solo limitarsi ad individuare fondi da redistribuire, ma che devono portare la dimensione “sociale” nel cuore delle scelte economiche, tecnologiche e di coesione dell’Europa. Nel prossimo settennato (2021-2027) l’Europa è chiamata a fare scelte che impatteranno sulle future generazioni. Per l’Italia diventa fondamentale costruire anche un sistema di alleanze capaci di aumentare il peso dell’economia sociale in Europa.

E chi sono i vostri alleati su questo fronte?

Ad oggi questa è una casella vuota poiché le alleanze sono più sul fronte commerciale o protezionistico, piuttosto che su quello della valorizzazione di uno sviluppo inclusivo e sostenibile. Da questo punto di vista il tema delle disuguaglianze è esemplare: per contrastare i monopoli e l’èlite della finanza non bastano misure assistenziali, serve un lavoro profondo su come si produce e redistribuisce ricchezza.

Ma esistono almeno dei percorsi già avviati?

Una grande partita per l’economia sociale si giocherà anche sulle nuove “infrastrutture sociali”. Lo studio europeo coordinato da Prodi ci dice che in Europa c’è un deficit di investimenti in infrastrutture sociali pari a circa 150 miliardi all’anno. Il tema delle infrastrutture sociali è un tema decisivo per la coesione dell’Europa, poiché legato al tema delle nuove vulnerabilità, dell’invecchiamento, dell’abitare, ecc… Su questa nuova generazione di investimenti, l’imprenditorialità sociale può essere un partner decisivo.

In che modo?

Occorre costruire una prospettiva in cui oltre ai fondi pubblici, si possano includere i crescenti investitori orientati all’impatto sociale. Negli ultimi due anni, l’impact investing ha messo a segno un vero e proprio boom, passando da 3 a 52 miliardi di euro investiti in Europa. Una fetta significativa è riconducibile proprio a iniziative di housing sociale e ad infrastrutture socio-sanitarie.

 

Leggi qui la prima parte dell’intervista

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