Nasce l’impresa “sociale”

Si può fare impresa nel sociale anche fuori dal campo delle cooperative, questo è in sintesi quanto può affermarsi dopo l’approvazione del decreto legislativo attuativo della legge delega 118 del 13 giugno 2005 (sulla cd. impresa sociale). Ciò significa che da oggi esercita attività di impresa non solo chi persegue scopi di natura economica, ma anche chi, attraverso un’attività economica, persegua finalità di natura ideale. Infatti questo tipo di impresa (che potrà ben essere anche una società a responsabilità limitata o addirittura una società per azioni) deve essere diretta a realizzare finalità di interesse generale e a produrre bene e servizi di utilità sociale. Quali siano questi beni e servizi, la legge stessa lo precisa: a) l’assistenza sociale, sanitaria e socio-sanitaria, b) l’educazione, istruzione e formazione, c) la tutela dell’ambiente d) il turismo sociale e) la formazione universitaria f) la ricerca e l’erogazione dei servizi culturali g) la formazione extrascolastica per prevenire la dispersione scolastica. Potrà altresì essere considerata impresa sociale quella che provveda all’inserimento nel mondo del lavoro di lavoratori cosiddetti ‘svantaggiati’ e disabili, che dovranno costituire almeno il 30 per cento dei lavoratori impiegati nell’impresa stessa. È intuitivo che comunque anche un ente non-profit potrà costituire un’ impresa sociale, in quanto la legge si accontenta che tale attività sia espletata da una qualsiasi organizzazione privata: espressione ovviamente molto ampia, comprensiva di tutte le forme di aggregazione collettiva tra soggetti. Resta inteso che in ogni caso l’attività dovrà essere esercitata in via tabile. Anzi quella improntata alle finalità ideali di cui si diceva dovrà anche essere prevalente rispetto ad altre eventuali esercitate dall’organizzazione. I proventi derivanti da questa attività (che devono rappresentare più del 70 per cento dei ricavi complessivi dell’impresa) non potranno essere distribuiti neppure indirettamente ad amministratori e a persone fisiche o giuridiche partecipanti, ma dovranno essere destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o ad incremento del patrimonio; sicché, per essere una vera impresa sociale, anche una spa non potrà distribuire alcun utile ai propri soci né corrispondere agli amministratori compensi superiori a quelli previsti per le imprese che operano in settori o a condizioni analoghe. I vantaggi sono evidenti: ad es. se l’impresa sociale è costituita come società a responsabilità limitata, per i debiti (eventuali) risponderà solo il patrimonio della società (in tale ultimo caso però non potrà essere inferiore a 10 mila euro) e non il patrimonio personale di chi rappresenta l’ente (come avverrebbe normalmente in caso di associazione non riconosciuta). Anzi la nuova legge in materia prevede che in ogni caso l’organizzazione, quale che sia, esercente l’impresa sociale ed avente un capitale non inferiore almeno a 20 mila euro, possa comunque limitarsi a rispondere dei propri debiti solo con il patrimonio di cui dispone, salva l’ipotesi di perdite cospicue. Inoltre da oggi in poi l’impresa sociale, pur garantendo una gestione economica e professionale della sua attività, dovrebbe agevolare comportamenti socialmente responsabili. È per questo che l’imprenditore – datore di lavoro, a differenza degli stessi soggetti non profit (che non rispondano all’identikit dell’impresa sociale), dovrà: (i) redigere un bilancio sociale, (ii) corrispondere trattamenti economici e normativi non inferiori a quelli previsti dalla contrattazione collettiva, (iii) assicurare forme di partecipazione dei lavoratori e dei destinatari. Ciò in quanto l’impresa sociale deve diventare il luogo naturale per l’affermazione di sentimenti di solidarietà e di fraternità nei confronti non solo dei destinatari dei beni e dei fruitori dei servizi forniti dall’impresa sociale stessa, ma anche dei lavoratori dell’impresa e della società civile in generale.

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