MUSICA 2003: un altro annus horribilis?

Quello che se n’è appena andato lo ricorderemo tra gli anni più terribili per l’industria della canzone, sempreché il termine abbia ancora un senso, dato che qualunque stilista di fama fattura più dell’intero mercato italico: vendite a picco, tonnellate di antologie a tamponare l’emorragia, produzioni generalmente scadenti o comunque incapaci di uscire da convenzioni, stereotipi e cliché ormai inadeguati. Con qualche eccezione ovviamente (ne segnaliamo qualcuna nel riquadro). Il 2003 non promette nulla di buono. Né potrebbe essere altrimenti giacché ancora non s’è toccato il fondo: piuttosto l’impressione è che si sia solo a metà di un imbuto. Catastrofismo? Cassandrismo da strapazzo? Può darsi, anzi ce lo auguriamo di tutto cuore. Ma in tutta onestà è difficile cogliere segnali di speranza. In primis, perché generalmente i suddetti hanno la fastidiosa caratteristica di non far rumore, in secundis perché i malesseri che affliggono il music-business non sono l’effetto, ma piuttosto il sintomo di una malattia che ha metastasi infinitamente più profonde e complesse di quelle che potrebbe mai accogliere un organismo tutto sommato così primitivo come l’ambiente discografico: un territorio che oltretutto, e da sempre, non è altro che lo specchio della realtà sociale che lo circonda. E codesto male si chiama degrado. L’inarrestabile declino di una civiltà, quella dei consumi, che non a caso sempre meno consuma; ma che, anziché cercare antidoti, s’accontenta di analgesici. In questo il pop non è diverso dal rock, come non è diverso dal cinema, dalla tivù, da qualunque altro media: colluso o concusso con un sistema incancrenito e perciò sostanzialmente inguaribile. Ma soprattutto prossimo al collasso. In questo senso mi pare perfettamente inutile elencare ciò che ci attende dietro l’angolo, i prossimi “sensazionali” ritorni di Tizio o di Caio. Basta annusare l’aria e dare un’occhiata in giro, per capire che il prossimo Sanremo sarà l’ennesimo flop imbarazzante, che i cast musical-televisivi continueranno a reggersi sulle facce e non sulle ugole, che i network radiofonici continueranno a rifilarci tonnellate di sciocchezze spacciandole per intrattenimento, che i mecenati veri continueranno a latitare peggio di Provenzano. Chissà se il nostro povero papa, nel suo dolente appello di qualche settimana fa, aveva in mente anche il music-business quando citava le pagine di Geremia. Lui, che continua a vivere sulla propria pelle l’ipocrisia più intollerabile della modernità: venir applauditi senza essere né condivisi né capiti. Ebbene, ho l’impressione che qualcosa del genere stia capitando anche in questo piccolo mondo post-moderno che è l’industria della canzone, solo molto più raramente; di solito in quest’ambito è più frequente una sottile variazione sul tema: venir snobbati senza essere nemmeno ascoltati. Bene, anzi malissimo, cari lettori. E allora? Che cosa augurarci per l’immediato futuro? Che Sanremo si trasformi nel premio Tenco, e magari viceversa per quanto concerne gli investimenti? Che si torni a privilegiare il talento sul sensazionalismo da supermercato? Più facile trovare un capodoglio nel Sahara. O davvero pensate che basti portare l’iva dei dischi al 4 per cento o abbassare drasticamente i costi dei cd “di nicchia” per uscire dall’imbuto? Ma dài… L’augurio, forse il solo plausibile a questo punto, è che alla fine (e ormai mi sa che dovremmo esserci…) prevalga il buon senso. E siccome esso pare ormai sotterrato sotto tonnellate di scempiaggini, catodiche e no, l’auspicio è che gli eventuali interessati se lo vadano a cercare nelle catacombe. Laddove non arrivano gli strepiti deliranti degli Imperatori del business, dove il buio depura dal baccano degli share e dall’agonia dei fatturati, dove il silenzio feconda la creatività degli scampati. Mi riferisco soprattutto alle nuove leve, spesso incapaci di crescere, perché abbagliate dalle illusioni di troppe Circi, ma anche a quella transgenerazionale brigata di cocciuti che continuano a tener duro nell’operosa tenacia degli umili, pagando sulla propria pelle il prezzo della marginalità. Quando le corporazioni coinvolte esauriranno del tutto i loro penosi baccanali e la tenebra sarà completa, qualcuno da là sotto, magari, rispunterà fuori con un cerino acceso. Buon anno dunque, e scusate il peana. CD NOVITÀ 2002: IL MEGLIO DEL MENO PEGGIO Bruce Springsteen – THE RISING (Sony). La resurrezione del sogno americano (e di tutti noi). Moby – 18 (Virgin). Il genietto di New York. Coldplay – A RUSH OF BLOOD TO THE HEAD (Emi). La malinconia balsamica. Pearl Jam – RIOT ACT (Sony). Meglio arrabbiati che arresi. AA.VV – ONE GIANT LEAP (Nun- Edel). Il bello della globalizzazione. Norah Jones – COME AWAY WITH ME (Emi). L’esordio dell’anno? Tom Waits – ALICE – BLOOD MONEY (Anti). Belli & Impossibili. Peter Gabriel – UP (Virgin). Un capolavoro costato dieci anni. Carmen Consoli – L’ECCEZIONE (Universal). L’ultima delle cantautrici.

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