Francesca Albanese, dal 2022 relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ha consegnato il primo luglio 2025 un rapporto clamoroso dal titolo lungo ma molto chiaro: Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio: i profitti multimiliardari incassati da aziende di tutto il globo nel sostenere e mantenere il progetto di colonialismo d’insediamento israeliano.
Il lavoro della giurista italiana è una risposta di fatto a coloro che parlano della crisi dell’Onu a 80 anni dalla sua fondazione. Non esiste altro luogo al mondo in cui è possibile portare alla ribalta la questione dei diritti umani con la sola forza della ragione e dei fatti.
Il documento è accessibile in lingua inglese sul sito dell’Onu (qui il link per scaricarlo) e si presta ad una lettura ormai possibile nelle diverse lingue grazie ai sistemi diffusi di traduzione on line. È certo che un testo del genere, capace di entrare nel merito della complicità diffusa, non solo del sistema economico, con la tragedia in corso in Palestina sia destinato a creare più problemi del precedete rapporto prodotto dalla Albanese nel marzo 2024 intitolato Anatomia di un genocidio, a proposito della situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967.
Una vasta campagna di sostegno alla Albanese è stata promossa nel 2023 da Amnesty international per rispondere alla richiesta di rimozione dall’incarico avanzata dall’ex ambasciatore e già ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata (attuale senatore di Fratelli d’Italia) e dal ministro israeliano per la diaspora Amichai Chikli.
Ma lo sfavore verso la relatrice dell’Onu è stato palese ad esempio già nel luglio 2022, cioè prima della catastrofe emersa con l’eccidio del 7 ottobre 2023, durante l’audizione di Albanese presso la commissione esteri della Camera dei deputati, in particolare da parte del presidente della stessa commissione, l’esponente dem Piero Fassino.
Albanese non ha mai smesso di invitare la comunità internazionale a «prevenire e proteggere le popolazioni dai crimini atroci» e a far valere «le responsabilità per i crimini internazionali commessi dalle forze di occupazione israeliane e da Hamas».
Nel rapporto del luglio 2025 sono prese in esame circa un migliaio di imprese, ma per il momento se ne citano solo 48 tra le più grandi, informate, tra l’altro, dell’indagine in corso da parte dell’Onu. Vi compare l’italiana Leonardo, assieme a Google, Amazon, Hp, Microsoft, Ibm, BlackRock, Chevron, Caterpillar, Volvo, Hyundai, Lockheed Martin, Airbnb e Booking.com, oltre a quelle israeliane direttamente interessate come l’industria di armi Elbit, la gestrice delle fonti idriche Mekorot e la produttrice di spyware Nso.
I rischi del rapporto Onu per le grandi corporation non sono solo eventuali danni di immagine e di reputazione, ma di diretta responsabilità penale e civile. Come afferma il rapporto nella traduzione offerta sul sito La Via libera, «laddove le entità aziendali continuino le loro attività e relazioni con Israele – con la sua economia, le sue forze armate e i settori pubblico e privato collegati al territorio palestinese occupato – si può ritenere che abbiano consapevolmente contribuito a: violazione del diritto palestinese all’autodeterminazione; annessione di territorio palestinese, mantenimento di un’occupazione illegale…; crimini di apartheid e genocidio… Sia le leggi penali che quelle civili in diverse giurisdizioni possono essere invocate per ritenere le entità aziendali o i loro dirigenti responsabili di violazioni dei diritti umani e/o crimini di diritto internazionale».
Sul piano degli armamenti il rapporto di Albanese afferma che lo Stato «beneficia del più grande programma di approvvigionamento della difesa mai realizzato – per il jet da combattimento F-35, guidato dalla Lockheed Martin con sede negli Stati Uniti, insieme ad almeno 1.650 altre aziende, incluso il produttore italiano Leonardo». Tale “potere aereo senza precedenti” avrebbe permesso di sganciare circa 85 mila tonnellate di bombe provocando la morte o il ferimento di oltre 179mila palestinesi. Ma oltre le armi sembra esistere, ad esempio, la collaborazione nella distruzione degli insediamenti palestinesi con la fornitura di macchinari pesanti da parte di società afferenti a capitali pubblici e privati di numerosi Paesi.
Secondo il rapporto, la crescita della spesa in armi da parte del governo Netanyahu è stata possibile, inoltre, grazie all’acquisto dei titoli del tesoro israeliani da parte di istituti finanziari tra i più grandi al mondo (Bnp Paribas, Barclays, Blackrock, Vanguard,…).
Insomma un rapporto dal contenuto esplosivo anche se in gran parte conosciuto dal mondo dell’economia e della finanza. L’intento di Albanese è quello di chiedere alle autorità statali e sovranazionali di sospendere gli accordi commerciali legati alle filiere esposte nel rapporto, a cominciare da quella delle armi. Scelta sostenuta dal governo spagnolo guidato da Pedro Sanchez, ma non dagli altri Paesi dell’Unione europea, in particolare non dall’Italia.
Oltre alle relazioni ufficiali, Francesca Albanese sa che uno dei fattori determinanti nell’orientare l’opinione pubblica resta il fattore narrativo che permette di entrare nella vita delle persone in carne e ossa, oltre i numeri dei rapporti ufficiali. La giurista italiana ha perciò pubblicato recentemente con Rizzoli il libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite della Palestina, un volume di racconti legati alla sua attività di relatrice speciale dell’Onu che il rapporto appena consegnato rende, di sicuro, sempre più instabile per la decisione di denunciare la responsabilità estesa e condivisa su quanto avviene in quella terra contesa.