L’inchiesta

Il corpo non c’è, non si trova. Ma questa volta chi l’ha cercato intuisce il segreto dietro quella misteriosa scomparsa, la vita oltre la morte, il mistero della resurrezione del Nazareno. È questa la differenza più evidente tra la più pessimistica Inchiesta di Damiano Damiani del 1986, e la versione tv in due puntate andata in onda su Raiuno durante la Settimana pasquale. Al centro della storia diretta da Giulio Base (ormai un classico delle regie di film religiosi) c’è sempre l’indagine condotta da Tito Valerio Tauro (un impegnato Daniele Liotti), il tribuno romano mandato in incognito dall’imperatore Tiberio (Max von Sydow) ad indagare in Palestina sulla misteriosa scomparsa del corpo di Gesù dal Santo Sepolcro. Scettico come un cronista di razza, preciso e pignolo come un investigatore privato, devoto agli dei di Roma, il tribuno, dopo l’incontro con Tabithà (una vivace Monica Cruz) di cui si innamora, decide di cambiare vita. Scopre – spiega Base – che il mondo può essere cambiato con la forza dell’amore e del perdono. E così sceglie di non tornare più a Roma per abbracciare la fede cristiana. È dunque l’introduzione di buona speranza, la novità più sostanziale di questa versione rispetto all’illustre antecedente. Rispetto a quello, perde in tensione morale, spegne ogni dubbio, cancella i chiaroscuri, pur puntando alla ricostruzione storica sia della primitiva comunità cristiana (la figura di Stefano, un bravo Christo Jivkov), come del rapporto Tiberio-Caligola (un veemente Vincenzo Bocciarelli). Comunque, grazie soprattutto al contributo di Valerio Massimo Manfredi (l’archeologo autore di best seller venduti in tutto il mondo) acquista appeal, si trasforma in una sorta di legal thriller ante litteram, un Grisham ai tempi di Pilato, pensato per la grande platea televisiva e soprattutto per il pubblico americano. Sarà infatti presto in 500 sale cinematografiche Usa ma anche spagnole. Visto nell’ottica stelle e strisce diventa una sorta di anti-Passion dove allo splatter filologicamente corretto di Gibson si oppone la forza dirompente e disarmante dell’ amore con qualche concessione di troppo alla violenza delle immagini. Pur perdendo per strada un po’ di fascino, rischiando di trasformarsi in un blockbuster da esportazione – con un doppiaggio nostrano discutibile – L’inchiesta di Base riesce ad essere un discreto esempio di tv positiva e in ogni caso ecumenica. Concentrandosi sulla forza del messaggio di Gesù (un intenso Fabrizio Bucci), sull’uomo giusto che morì in croce, sul profeta che andò contro le regole e parlò agli ultimi della Terra, il film scavalca steccati ideologici e parla al cuore di tutti. Sarà anche una necessità della produzione quella di non farne un prodotto di nicchia, ma nel clima di contrapposizione fra laici e cattolici, anche un film può aiutare a venirsi incontro.

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