Le parole ultime

Un libro diventa occasione per raccontare in 99 parole la malattia e il fine vita. Medici, teologi e filosofi a confronto in uno dei laboratori di Loppianolab
Presentazione del libro Le parole ultime

Un argomento che forse oltrepassa le tematiche di questo laboratorio nazionale, ma il tema non può essere eluso perchè tocca da vicino tutti: la malattia e la fine della vita.
 
Nel milieu di LoppianoLab, alla Libreria Arcobaleno del Polo Lionello, avviene la presentazione di un libro dall’accattivante titolo “Le parole ultime” delle Edizioni Dedalo. La gente raccoltasi è tanta.
I relatori presentati sono la geriatra Flavia Caretta, il professore di Filosofia teoretica Salvatore Natoli e il teologo Piero Coda autori, assieme a Ivan Cavicchi, ad Ana Cristina Vargas, a Paolo Azzoni e a Marcella Gostinelli autori del libro che si articola come un vademecum con 99 lemmi arricchito da testimonianze raccolte anche da Marinetta Nembrini.

La dottoressa Caretta traccia i dati del problema del malato terminale la cui insoddisfazione spesso è dovuta a mancanza di comunicazione, non di informazioni sulla malattia, ma comunicazione umana che ha ripercussioni anche sulla salute fisica del malato. Ciò comporta una grande capacità di ascolto, di silenzio. Questa attenzione non migliora soltanto la qualità della vita e della terapia ma ha effetti sugli stessi operatori e tutto l’ambiente diventa così terapeutico.

La geriatra precisa che la malattia più temuta è la morte psichica, che la solitudine è più temuta della morte stessa e che l’antidoto a questo devastante timore è la comunicazione, che non è parola, ma presenza.
Il filosofo Salvatore Natoli parla di tante splendide vecchiaie e che saper invecchiare è un’arte ma la morte di un giovane o, soprattutto, quando è annunciata e il tempo che viene non è più un tempo di progetti ma cessazione di aspettative, in un modo o nell’altro, coinvolge tutti i membri della famiglia o dell’ambiente sociale. Anche Natoli si immette nel tema di come accompagnare nel morire,  e dice che pur consapevoli di aiutare a vivere, bisogna saper assecondare la morte. In sala la gente si sistema meglio sulle sedie, il tema si fa scottante.

Il filosofo continua con forza a dire che anche per chi assiste il malato si presenta l’occasione di discernimento di capire i segni, cosa dire, cosa fare e che si accende la vita nel momento in cui la vita dell’altro è importante per me “Se muori porti con te una parte di me”. Se la vita è relazione, è la trama delle relazioni che mantiene in vita. È coinvolgente la sua affermazione che se generiamo vita negli altri, generiamo costantemente noi stessi.         
Il teologo Piero Coda parla delle ultime parole di Gesù. Matteo e Marco riportano il grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” in tutta la tonalità tragica della morte, mentre Luca, con “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito” mostra una tonalità di fiducia, di consegna.

Giovanni, che aveva presentato Gesù come la fonte “… chi ha sete venga a me”, ora usa un’espressione quasi incomprensibile “Ho sete!” Una tonalità vitale. Gesù è un seme che muore per dare frutto e la sua morte acquista un valore cosmico. E come la sua, ogni morte è un reale anticipo della resurrezione.
Molto efficace è stato tra gli interventi, quello di Chiara M., che ha parlato come infermiera e come malata.

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Mediterraneo di fraternità

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons