Le magie di Zeffirino

Un grande ristorante di Genova con un unico segreto: una famiglia unita e lavoratrice.
Luciano Belloni nel ristorante Zeffirino di Genova

Il basilico migliore è di Pra perché ha le foglie piccole e tenere. La quota di parmigiano reggiano raggiunge il 70 per cento. Solo il 30 per il saporito pecorino sardo. Per questo conviene aggiungere poco sale grosso. I pinoli solo nostrani e l’olio extra vergine d’oliva rigorosamente della Liguria. E poi tanto olio di gomito per pigiare, macerare, finché il pesto genovese è denso e pronto.

È la ricetta di Luciano Belloni, classe 1939, del più noto ristorante di Genova: lo Zeffirino, il nome di suo padre. Il paradosso è che i Belloni sono emiliani e dopo la guerra, e un primo tentativo di lavorare nella ristorazione a Roma, si trasferiscono a Genova per aprire una tipica trattoria emiliana. I clienti sono camionisti e autisti a conferma del famoso detto che dove loro si fermano si mangia bene.

Dopo dieci anni di muscoli, creatività e soddisfazioni acquisiscono un nuovo ristorante in un quartiere che aveva visto fallire i tre precedenti gestori. Il titolare appena li vede esclama: «Voi siete in una botte di ferro!». «Aveva ragione ‒ chiosa Luciano ‒ perché ci aveva visto come una famiglia unita. Ci siamo tirati su le maniche e abbiamo fatto tutto da soli: cucina tipica modenese nel dopoguerra a base di cacciagione, selvaggina, bollito misto. A quel tempo, rispetto a ora dove prevalgono le ricette di pesce, si mangiava una quantità incredibile di carne. Anche 600 grammi a testa». C’era voglia di far festa, di ricominciare a vivere dopo la guerra.
Allo Zeffirino si lavorava anche 16 ore al giorno con tre turni, il pranzo, la cena e il dopo cena per gli attori, anche Walter Chiari e Delia Scala, che terminavano gli spettacoli nel vicino Teatro Margherita e cenavano all’1 e 30 di notte. «Tornavo a casa alle 5 del mattino ‒ ricorda Luciano ‒, mi facevo una spaghettata con aglio e olio e un bicchiere di vino del trentino e alle 9 e 30 ero di nuovo al ristorante. Il lavoro, se è fatto come si deve e con amore fa bene, si muore solo di non lavoro».

Oggi che Luciano e i suoi quattro fratelli hanno avuto un grande successo internazionale, potrebbero pure godersi la vecchiaia. Neanche a pensarlo. A ognuno che incontra, non solo come è capitato a me in uno studio televisivo, Luciano regala il suo bigliettino da visita, un cartonato blu dello Zeffirino dato come se tu fossi il primo e l’unico cliente al mondo. Così Luciano, si presenta: con l’entusiasmo e l’energia del principiante. Eppure nel suo ristorante di Genova sono passati Liza Minelli, Gorbaciov, Frank Sinatra, Luciano Pavarotti. E tra i suoi clienti ci sono Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a cui ha inviato e invia regolarmente il suo pesto favoloso. «L’unica differenza è che papa Ratzinger preferisce il pesto senz’aglio». Nella sua memoria pullulano i ricordi. Un giorno a papa Wojtyla ha chiesto quale fosse il segreto per vivere a lungo. E lui rispose con la sua voce carismatica: «Se ti vuoi bene, vuoi bene anche agli altri. Così si vive a lungo». Ma il vero segreto resta una grande famiglia unita, lavoratrice, al servizio gli uni degli altri. «Dove c’è la famiglia ‒ conclude Luciano ‒, c’è tutto: i valori, l’educazione, l’amore. Se vuoi andare avanti, devi tornare indietro dice un proverbio genovese. Tornare alla famiglia perché il successo è fatto di tante piccole attenzioni che si apprendono in casa».

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