Le conseguenze di una secessione

Una riflessione su cosa comporterebbero l’indipendenza e la frammentazione di fronte alle sfide colossali della nostra Europa, a livello politico ed economico in ambito nazionale e internazionale

 

«Siamo una regione più ricca della media, paghiamo al governo centrale più di quanto otteniamo in cambio, altre regioni con statuti speciali hanno un trattamento più favorevole, abbiamo una identità locale con una lunga storia, quindi secediamo».

È una buona idea?

Una prima risposta, diciamo di etica politica, è che se le regioni più ricche rifiutano che il sistema fiscale operi per un’attenuazione delle disuguaglianze, qualunque Stato che si ispiri ad un principio di solidarietà tra i suoi territori sarà destinato a dividersi in frammenti sempre più piccoli.

Una seconda risposta, un po’ cinica, è che la sola minaccia di secessione può già far molto per rimediare allo squilibrio: se prosegue la fuga delle imprese dalla Catalogna verso il resto della Spagna per paura di un dirompente conflitto di poteri, il reddito catalano diminuirà, quindi diminuiranno anche le imposte sul reddito pagate a Madrid; al tempo stesso in Catalogna ci saranno più disoccupati, quindi arriveranno più sussidi di disoccupazione, e così la sospirata uguaglianza fra trasferimenti che vanno e trasferimenti che tornano potrebbe paradossalmente essere raggiunta in breve tempo attraverso l’impoverimento.

Tanto per completare questo ragionamento, è probabile che se poi la Catalogna si staccasse veramente, il colpo iniziale per l’economia catalana potrebbe essere molto duro. Più a lungo termine le cose potrebbero andare diversamente, forse anche meglio che se restasse con la Spagna. Ma un tale risultato dipende da molte incognite: chi e come guiderebbe la politica catalana? L’attuale incertezza lascerebbe presto il posto ad un nuovo clima di fiducia? Quale sarebbe l’atteggiamento dell’Unione Europea? E così via.

Mi chiedo però se siano queste le considerazioni più importanti. La nostra Europa (e non solo lei) ha di fronte a sé delle sfide colossali a cui non so se tante piccole patrie riusciranno a far fronte: il potere economico dei giganti economici globali, mega-imprese che realizzano redditi colossali e li spostano a loro convenienza da un Paese all’altro, mettendo in concorrenza tra loro i singoli Stati per ottenere sconti fiscali (come la recente cronaca ci ha eloquentemente mostrato), a tutto scapito della capacità dei governi di continuare a fornire servizi adeguati ai cittadini (a cominciare da sanità e istruzione); il potere dei grandi gruppi finanziari internazionali, 20 dei quali controllano (ciascuno!) risorse economiche superiori al Prodotto Interno Lordo annuo spagnolo (figuriamoci a quello catalano!); le turbolenze politiche e militari del Medio Oriente, di fronte alle quali le diplomazie europee si muovono ancora in ordine sparso, cercando ognuna di portare a casa qualche vantaggio commerciale; i problemi ambientali, che richiedono accordi su scala globale e nei confronti dei quali la coesione a livello continentale è un fattore facilitante.

Ancora, andrà forse Puigdemont, quand’anche fosse un politico esperto e capace, a battere i pugni sul tavolo con Putin o con Trump (e scusate se dimentico Xi Jinping), se la situazione lo richiedesse? O forse sarà l’autorità antitrust catalana a castigare Microsoft e a comminargli multe salatissime, qualora si rendesse responsabile di comportamenti anticoncorrenziali, come seppe fare anni fa l’autorità antitrust europea? E riusciranno queste piccole democrazie a tener testa all’imperversare della corruzione internazionale? La bomba nell’auto della coraggiosa giornalista maltese Daphne Caruana Galizia che indagava sui traffici petroliferi del presidente è molto preoccupante.

Forse è bene, allora, soppesare i benefici della totale indipendenza («Che non venga Madrid a dirci cosa fare, né Roma, né Bruxelles!») con i costi della frammentazione. Dobbiamo rassegnarci al centralismo? No, per fortuna! Le democrazie più avvedute hanno imparato a coniugare il giusto desiderio di autonomia con la necessità di un potere decisionale unitario e la responsabilizzazione delle amministrazioni territoriali con la corresponsabilità.

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