La sfida di Vanessa

La ginnasta bresciana, campionessa del mondo nel 2006, prova a rimanere ai vertici internazionali in una disciplina sempre più estrema.
Vanesa Ferrari

«Un bambino che prova la ginnastica artistica impara a conoscere subito il proprio corpo e le proprie capacità fisiche, fatto molto importante per evitare di impigrirsi sin da piccolo nella sedentarietà. Per l’agonismo, invece, se ne parla eventualmente solo dopo anni di allenamento». A parlare è Vanessa Ferrari, 21 anni, oggi la nostra migliore interprete di questa affascinante disciplina, una delle attività fisiche preferite dai genitori italiani per avviare i propri figli allo sport, non a caso tra le più diffuse nel nostro Paese nella fascia d’età tra i cinque e i dieci anni.

 

Anche Vanessa ha iniziato presto. I primi successi sono arrivati a soli 14 anni, quando si è aggiudicata ben cinque ori ai Giochi del Mediterraneo del 2005. Poi, l’anno successivo, ha vinto addirittura il titolo mondiale, la prima e per il momento unica volta per una ginnasta italiana. «Un successo costruito in una palestra che era una piscina in disuso e che non aveva nemmeno lo spazio per allestire le attrezzature secondo le misure regolamentari».

 

Dopo quel trionfo per Vanessa sono seguiti altri risultati di prestigio e anche un’inaspettata notorietà. Mesi vissuti sulle pagine dei giornali e nelle trasmissioni tv, «un’esperienza che poi è terminata bruscamente dopo le Olimpiadi di Pechino del 2008, quando le cose non sono più andate molto bene». In effetti negli ultimi anni per Vanessa è stato difficile confermarsi ad alti livelli, complici anche i guai a un piede (tendinite) che alla fine l’hanno costretta a sottoporsi a un intervento chirurgico.

 

Ma a limitarla è stato soprattutto il confronto con le atlete di alcune “superpotenze” della ginnastica che col tempo si stanno spingendo verso esercizi sempre più estremi. «Ricordo ancora il giorno in cui con le altre nazionali provammo l’impianto di gara prima dei Giochi. Mi esercitai vicino alle ginnaste cinesi e a quelle americane e le vidi provare esercizi fuori dalla mia portata: le gare non erano cominciate e già sapevo che non avrei avuto nessuna chance di vittoria».

 

Il nuovo codice di punteggio in vigore da alcuni anni, basato sulle effettive difficoltà presentate da ciascun ginnasta, ha spinto infatti atleti e tecnici a osare ogni volta un po’ di più; così facendo il prezzo da pagare in termini di incolumità fisica sta diventando sempre più alto, le carriere sono sempre più brevi e la ginnastica, pur rimanendo uno sport altamente spettacolare, sta diventando sempre più usurante. Una ginnastica che potremmo definire sempre più acrobatica, piuttosto che artistica. «Ad ogni esercizio corriamo il rischio di infortunarci e quindi tra di noi ci rispettiamo moltissimo, consapevoli dei sacrifici che ciascuno di noi compie per assecondare la propria passione sportiva».

 

«Dopo Pechino – continua Vanessa – ho ottenuto effettivamente risultati al di sotto delle aspettative e ho quindi dovuto ripensarmi sia come atleta che come persona. Ho scelto di arruolarmi nel Gruppo sportivo dell’esercito, ho incontrato il mio primo amore, anche lui un ginnasta, e ho cominciato ad allenare in palestra delle bimbe giovanissime».

 

Nel corso dei recenti mondiali disputati a Tokyo, la nostra atleta ha però dimostrato di essere ancora competitiva ai massimi livelli, in particolare al corpo libero. Purtroppo, un trauma alla caviglia sinistra, patito proprio durante il riscaldamento svolto pochi minuti prima della finale di specialità, le ha impedito di provare a vincere una nuova medaglia importante, ma la rivedremo in gara già a gennaio quando, insieme alle altre azzurre, cercherà di qualificarsi per i Giochi olimpici di Londra 2012. «Con la consapevolezza – precisa l’atleta bresciana –di chi è in una fase della propria carriera in cui non deve lasciarsi sfuggire nessuna occasione. Ci sono ginnaste, specie russe, che oggi sono inarrivabili, ma non smetto di pensare che posso ancora giocarmi “un posto al sole”».

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