La Messa di Morricone

Ennio Morricone

Due anni fa Ennio Morricone, classe 1928, ha composto questa messa accogliendo il suggerimento del rettore della chiesa romana del Gesù, padre Daniele Libanori e l’ha presentata a Papa Francesco, cui è dedicata. Ieri sera, nella chiesa gremita – ex allievi delle scuole dei Gesuiti, l’ex presidente Napolitano, musicisti come Nicola Piovani, Bruno Cagli, monsignor Frisina – la Messa per orchestra e doppio coro è stata offerta in “prima” nazionale. Un evento, considerando lo scarso numero di musica sacra di valore che da decenni viene composta, nell’ancor difficile rapporto tra arte e Chiesa.

Diciamolo subito: è davvero bella. Non so se sarà “liturgica” – manca il Credo – ma di certo c’è un’anima grande, l’anima del nostro tempo che cerca la pace e con essa Dio.

L’inizio è un brusio scomposto di voci, una babele sullo sfondo di ottoni: l’umanità smarrita di oggi. Poi, sul moto continuo e ondoso dei contrabbassi – gli unici archi nell’orchestra -, destinato a diventare una sorta di leit motiv dell’opera, e dei timpani, il Kyrie impresso dall’organo si fa poi dramma quando il coro passa alle voci maschili: è un timore che tuttavia alla fine sfonda in un pieno accordo luminoso. Pagina mirabile per sincerità, originalità strumentale, passaggio dal tremore alla fiducia.

Il Gloria si accende nello scoppio delle trombe. I cori si intrecciano polifonicamente in una luce tiepida, il timpano scolpisce il Tu solus Dominus e il Tu solus Altissimus e appare una colonna musicale svettante e chiude con le strida esultanti degli angeli-uccelli nel coro femminile, come in un affresco del Correggio o in una pala del Lotto.

Vaporosa la melodia dell’Alleluja: il coro femminile omofonico si estende in chiarità aurorali con l’organo e con il tocco della campane: clima di festa semplice, alba di un giorno nuovo.

Il Sanctus cresce nei due cori femminili divisi che si chiamano o si rispondono con quello maschile nell’affresco sonoro.

L’Agnus Dei è etereo con la squisita melodia del corno inglese che richiama suggestioni pastorali insieme al dolce coro femminile. C’è una chiarezza spirituale intensa: sembra che Morricone “veda” le raffigurazione paleocristiane dell’Agnello e le sublimi in musica. Il coro maschile interviene con i contrabbassi in lunghe note “tenute” come in una processione a chiudere in un “morendo”, quasi con un sentimento di timore oscuro: è il Miserere che ritorna.

Il Finale esplode nella gioia con la voce solista, bellissima, di un tenore: ed è un tumulto angelico come quello degli affreschi nella chiesa. È come se dalle tenebre iniziali si fosse passati alla luce, come se la morte e la paura fossero state sconfitte. La resurrezione scoppia sull’umanità.

Applausi alla fine del concerto. Morricone ha diretto con la sua classica e precisa essenzialità l’orchestra Roma Sinfonietta, aiutato dal maestro Stefano Cucci per i cori di Santa Cecilia e del Teatro  dell’Opera: davvero splendidi. La musica? Ricchezza melodica, timbri novecenteschi densi, “ricordi” di colonne sonore (Mission) e soprattutto una straordinaria luce appena sfiorata dal grave dei contrabbassi in un lavoro fresco e bello come pochi altri  del genere “sacro”. Speriamo venga amato e compreso.

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