La corsa di Kathrine Virginia Switzer

Dopo 50 anni torna alla Maratona di Boston la donna che avviò una rivoluzione sociale nel mondo dello sport. Una storia leggendaria che merita conoscere
AP Photo/Ron Frehm

Ancora una settimana, per l’esattezza il 17 aprile, e sarà immancabilmente Maratona di Boston: una delle più affascinanti maratone della storia sportiva mondiale, arricchitasi anno dopo anno di aneddoti leggendari, aggiungerà quest’anno ai suoi memorabili archivi il clamoroso ritorno di Kathrine Virginia Switzer, a suggello di una ricorrenza colma di significato.

Esattamente 50 anni fa, nel 1967, fu protagonista di una sorprendente cavalcata di 4 ore e 20 minuti che cambiò la storia dell’atletica, tagliando il traguardo in qualità di prima donna a gareggiare alla mitica maratona.

Considerate “troppo fragili” per affrontare uno sforzo di 42 chilometri, le donne videro nella Switzer la pioniera d’un cambiamento epoca: cresciuta correndo, a soli 12 anni usciva in strada da sola, anche fino a cinque chilometri attorno a casa, cosa che nessuna delle coetanee avrebbe osato fare. D’altra parte Kathrine avrebbe macinato chilometri già al college per essere la più forte a hockey e poi all’università di Syracuse, New York, dove incrociò l’inserviente Arnie Briggs, postino-maratoneta che accettò di allenarla come qualunque meritevole atleta.

La ragazza correva ogni giorno per circa dieci miglia incurante di qualsiasi condizione atmosferica: Briggs non poté che notarla invitandola “scandalosamente”, per l’epoca, ad allenarsi i ragazzi. Da lì alla maratona il salto fu breve quanto i suoi timori reverenziali: s’iscrisse a quella mitica maratona di Boston da regina della gara di fondo a vent’anni, registrandosi come K. V. Switzer, proprio come firmava per il giornalino dell’università. Nessuno si accorse prima che fosse una donna, a parte Jock Semple, giudice di gara che, sondata la faccenda, cercò di bloccarla gridandole in viso: “Vattene dalla mia gara, dammi il pettorale”. E c’era quasi riuscito, se la sorte non avesse voluto che a placare risolutamente il giudice fossero i 106 chili di buone ragioni di Tom Miller, lanciatore del peso allora fidanzato di Kathrine.

La storia non sfuggì ai fotografi, che pur senza internet immortalarono per il mondo Kathrine arrivare al traguardo, così come anche vincere cinque anni dopo, quando le donne furono finalmente ammesse a tutte le gare di fondo, oltre a Boston. “Dopo la mia esperienza, capii che vi erano milioni di donne al mondo che erano cresciute senza credere di poter superare i limiti a loro imposti. Volevo fare qualcosa per migliorare le loro vite…” dichiarò più tardi.

Nel 1966 per la verità, c’era stata già una donna in assoluto protagonista dell’epica “prima volta” a Boston, anche se il timore di essere riconosciuta e cacciata prima ancora dell’inizio dai giudici di gara l’avevano fatta nascondere in partenza fra i cespugli: si chiamava Roberta Gibb e si aggiunse tra i 540 iscritti uomini senza dare nell’occhio, grazie ad una maglia che be copriva le forme femminili. Arrivò sanguinante e malconcia al traguardo, per di più di fatto in semi-clandestinità, e forse per questo non venne mai davvero attribuito a lei lo storico primato, peraltro in effetti a distanza di anni riconosciutole anche dalla stessa BAA, che organizza la maratona, la quale le riconobbe retrospettivamente una medaglia.

«E’ stata come una rivoluzione sociale – ricorda invece oggi la Switzer, annunciando che tornerà a correre a Boston, alle soglie dei 70 anni, probabilmente anche pensando alla Gibb -. Oggi negli Stati Uniti ci sono più runner donne che uomini».

Provocatrice? Anche fosse, concorse a scardinare un sistema maschilista ingiustificato. Nel 1974 vinse la maratona di New York, mentre l’anno dopo, ancora a Boston, registrò il suo record personale chiudendo in 2 ore e 50 minuti. Laureatasi nel ‘68 in giornalismo, divenne conduttrice televisiva e autrice di libri di successo sulla corsa. Fondatrice di «261 Fearless» («senza paura», accanto al numero del pettorale del 1967 diventato un simbolo), un’associazione che promuove l’emancipazione delle donne attraverso il running.

La fatidica data del ritorno è il 19 aprile ma, neanche a dirlo, per lei è vietato sfigurare: «Mi sto allenando duramente. Sarà una celebrazione, un modo – dichiara – per ringraziare tutti coloro che si battono per rafforzare il nostro ruolo».

 

 

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