Il coraggio di Raffaele

Perde la figlia in un’alluvione, ma ha parole di speranza per tutti.
Francesca Mansi

«La mia prima figlia si è sposata da poco ed era lei che teneva le redini della casa». Così mi saluta Raffaele Mansi, lasciando intendere, con quella frase sospesa a metà e lo sguardo interrogativo, qualche difficoltà da risolvere. È l’unica incrinatura che traspare da un uomo normale, ispettore d’igiene e diacono permanente, che non ha avuto, però, vita facile.

Sette anni fa perde la moglie Elisa, scomparsa per un cancro a soli 45 anni e rimane con cinque figli a carico. La secondogenita Francesca, appena 25enne, viene travolta l’anno scorso ad Atrani, sulla costiera amalfitana, dall’esondazione del fiume Dragone, dopo uno scroscio abbondante di piogge torrenziali che puniscono le incurie del territorio e il degrado ambientale di tante regioni della nostra penisola.

 

Sono le sei del pomeriggio del 9 settembre 2010 e Francesca scompare, mentre lavora in un bar per guadagnarsi qualche soldo durante le vacanze estive, sotto un’onda di fango e detriti che travolge tutto e tutti con una violenza impressionante. Trascorrono 23 giorni interminabili, fino al ritrovamento del cadavere di Francesca a 370 chilometri di distanza, nell’isola di Panarea, nell’arcipelago siciliano delle Eolie. Il corpo è ancora intatto, così gli abiti, il cellulare è ancora nella tasca dei jeans. Un miracolo che nessuno si aspettava più, tranne suo padre, che quel giorno ha esclamato: «Signore ti ringrazio!».

 

Ringraziava di aver ritrovato il suo corpo: «Almeno avrò un luogo dove piangere mia figlia Francesca».

Eppure, fin dal primo istante, da quando un’automobile scagliata dal Dragone ha abbattuto la porta del bar in cui Francesca lavorava, una certezza lo ha sorretto: «Nulla succede invano, tutto è volontà di Dio, anche se noi non riusciamo a cogliere il suo disegno di amore infinito. Ero e sono sereno, il dolore non mi ha annientato e la disperazione, che è mancanza di speranza, non trova posto nella mia famiglia, anche se Francesca, da poco laureata, faceva da mamma ai suoi fratelli».

Nel vocabolario cristiano, il vocabolo disperazione non esiste, perché «vedo ancora il bello della vita e cerco di capire quel che è successo con gli occhi di Dio: spesso pretendiamo che sia lui a vedere con i nostri, ma questo non è avere fede. Siamo chiamati a far crescere la speranza e non sappiamo perché Dio permetta queste cose».

 

Anche di fronte a fatti recenti, come le alluvioni e i morti che ci sono stati in Liguria, che «non dovrebbero mai accadere e che sono responsabilità dell’uomo e non della natura, sapremo ogni spiegazione sul perché sono accaduti quando saremo faccia a faccia con lui». La sua impressione, confermata da vari episodi, è che Dio tutto voglia e permetta per il nostro bene. «Alle famiglie che hanno vissuto la mia stessa tragedia dico: “Coraggio, la vita deve andare avanti!”».

 

Un amico, a cui aveva tenuto il corso di matrimonio insieme alla moglie Elisa, che Raffaele ha rincontrato dopo la morte di Francesca, gli ha confidato che «la tua serenità, pur nella vicenda sconvolgente di tua figlia, mi ha fatto riscoprire Dio».

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