Il caso “cinese” della Pirelli

Intervista all’economista Giuseppe Argiolas sull’operazione che porterà uno dei simboli del capitalismo italiano sotto il controllo di una società di Pechino
pirelli

Entro pochi mesi si concluderà la vicenda che vede un gruppo chimico cinese assumere il controllo della  Pirelli, storico simbolo del capitalismo italiano. La nuova società (newco) vedrà ancora la presenza di minoranza dei russi di Nefgarant (Rosneft) e della Coinv di Tronchetti Provera con Unicredit e Intesa Sanpaolo, ma l’azionista di maggioranza  sarà  la China national chemical corporation (ChemChina), una società controllata , tramite la Sasac, dal governo di Pechino.  Nelle prime dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera, Ren Jianxin, presidente della società cinese, ha parlato di un “matrimonio meraviglioso” con Tronchetti Provera, che resterà alla guida di Pirelli per 5 anni, e assicurando che «non ci saranno licenziamenti»  dato  che il marchio è destinato a crescere non solo in Asia ma anche in Europa.

Sulla vicenda abbiamo chiesto il parere a Giuseppe Argiolas, docente di  “Responsabilità sociale delle organizzazioni” presso l’Università di Cagliari  e professore di economia e direzione d’impresa presso l’Istituto universitario Sophia di Loppiano (Firenze).

Come si può leggere questo cambio di proprietà della Pirelli?

«La vicenda è da “caso di studio”. Mostra, infatti, in modo emblematico quanto sia difficile e complesso fare impresa e, tanto più, nel competere in un mercato globalizzato con colossi in quanto a dimensioni ed a peso specifico.  Se guardiamo il mercato nel quale è collocata Pirelli, si vede come – di fatto – ci si trova di fronte ad una sorta di bipartizione: da una parte, abbiamo i giganti quali Bridgestone (giapponese), Michelin (francese), Goodyear (americana) e Continental (tedesca) – con ricavi che vanno dagli oltre 25 miliardi della prima, ai circa 10 miliardi di Euro dell’ultima: le quattro big che la fanno da padrona; dall’altra, nel ruolo di comprimarie, una più frastagliata presenza d’imprese di medie (si fa per dire) dimensioni, guidate appunto da Pirelli con circa 7 miliardi di euro di fatturato».

Cosa sta avvenendo in tale scenario mondiale? 

«L’ipotesi di un consolidamento tra le imprese “minori” sembra tutt’altro che remoto, se non addirittura inevitabile per competere adeguatamente in un siffatto mercato. Infatti, di cosa hanno bisogno le seconde della classe per competere con le prime? Di investimenti e di posizionamenti in nuovi mercati. Come si nota, tra le grandi non ci sono cinesi e indiane, le quali sono invece posizionate nel secondo gruppo. Anche l’osservatore meno esperto può quindi facilmente dedurre che in un mercato in crescita come quello asiatico non può mancare una presenza forte delle imprese asiatiche continentali e la storia industriale recente conferma diversi tentativi di joint venture con partner occidentali che però, a sentire gli esperti, non sembrano aver dato i frutti sperati dagli orientali. Non sorprende quindi che la Cina guardi ad Occidente in generale ed a casa nostra, in particolare, ma per acquistare cosa? Innanzitutto tecnologia affidabile, eco-sostenibile e brand di alto livello, per rilanciare la propria strategia nel mercato domestico e asiatico».

In che modo, nel caso in esame, opera la Cina?

 «La ChemChina, impresa che guida l’operazione di acquisto, è un’impresa pubblica cinese che controlla Aeolus Tyre una delle più grosse imprese degli pneumatici per camion. Se l’operazione d’acquisto dovesse andare come previsto Aeolus Tyre acquisirebbe la divisione pneumatici per camion di Pirelli, mentre ChemChina acquisirebbe la divisione auto e moto che costituisce il vero fiore all’occhiello di Pirelli. Un’altra ipotesi è che ChemChina acquisisca tutto e lo scorporo avvenga in un secondo momento».

A prescindere dai vari passaggi, come si presenta questo “matrimonio meraviglioso” per citare le parole del presidente di ChemChina?

«Di fatto l’acquisizione si manifesta come un’operazione interessante per venditori e compratori. I secondi si troverebbero ad acquisire una realtà dal punto di vista economico molto solida. Negli anni della crisi economica, Pirelli ha visto crescere i propri indici di redditività ed in qualche modo ridurre il disavanzo finanziario, anche se necessita ancora di ossigeno. I venditori si troverebbero a vendere in un momento propizio ottenendo plusvalenze più che significative. È importante sottolineare che l’accordo firmato prevede che, almeno per i prossimi cinque anni, l’area ricerca della nuova Pirelli e la testa dell’intero gruppo resterebbero in Italia con presidenza designata da ChemChina, amministratore delegato Marco Tronchetti Provera ed una presenza praticamente paritaria in Consiglio di amministrazione tra la maggioranza cinese e la minoranza italo-russa. Questo dovrebbe garantire che non ci sarebbero ripercussioni sul fronte dell’occupazione in Italia, anzi con l’espansione nel mercato asiatico potrebbero esserci dei benefici, legati quantomeno alla solidità della partnership».

La vicenda sembra perfetta. Quindi tutto a posto?

«In realtà l’operazione è per l’appunto complessa per cui si potrà esprimere un giudizio completo sulla questione a partita conclusa, quando l’operazione di offerta pubblica di acquisto sarà effettiva ed i tempi tecnici per la sua realizzazione saranno compiuti presumibilmente dopo l’estate».

 

(prima parte)

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