Grammy 2004: dintorni & contorni

A giudicare dai verdetti dei recenti Grammy Awards (gli equivalenti degli Oscar per la musica americana) verrebbe da pensare che il mondo – almeno quello del pop – non sia poi così globalizzato. Eccezion fatta, forse, per le contraddizioni che l’attraversano. I cinque riconoscimenti al pop di Beyoncé lasciano certamente perplessi, almeno quanto le incoronazioni della Aguilera e di Justin Timberlake come migliori cantanti dell’anno o degli Evanescence come gruppo rivelazione. Ma fan parte del sensazionalismo intrinseco dell’ambiente. Più comprensibili le scelte di Clocks dei Coldplay e di Speakerboxxx/ The love below dell’accoppiata rap degli Outkast rispettivamente come singolo e album dell’anno. Colpisce però che degli oltre 100 premi (!) assegnati, almeno una metà siano andati ad opere ed artisti qui da noi praticamente ignorati. Il fatto è che la crisi dei mercati ha trovato un pernicioso complice nel nostro atavico provincialismo. Sicché ben poco di quanto prodotto nel mondo arriva alle nostre orecchie. E quel poco risulta ulteriormente filtrato dalle logiche aberranti e stereotipate di troppi signori della musica che di questa ne capiscono quanto il sottoscritto ne sa di fisica quantistica. Paradossalmente, in questa penosa stagnazione dove solo i pirati godono di ottima salute, la tecnologia musicale sta riversando sui mercati una valanga di novità destinate a rivoluzionare il consumo musicale. I vecchi walkman, per esempio, stanno per andare in pensione sostituiti da una serie di marchingegni (primo tra tutti l’iPod: ce n’è già più di un paio di milioni in circolazione) capaci di immagazzinare in un taschino fino a quindicimila canzoni. Manca ovviamente ancora uno standard comune (l’Mp3 è al momento il più gettonato) ma ci arriveranno presto. Nel frattempo però la maggioranza dei cd in commercio non arriva a vendere manco cinquemila copie (e ci credo, visto che ormai c’è chi arriva a pretendere anche 30 euro per un album), e i grandi network radiofonici continuano a martellare i soliti quaranta brani settimanali, escludendo a priori tutto ciò che non rientra negli canoni dominanti. Il resto sopravvive altrove, e spesso molto meglio di quanto osannato dai soliti maestri di pensiero dell’etere: nei negozietti per amatori e su Internet, nei festival alternativi e nei passaparola degli appassionati. Qualcuno ogni tanto ce la fa e per qualche miracolosa combinazione di fatalità e cocciutaggine tracima sui mercati di serie A: come Norah Jones (che oggi vende – ingiustamente – molto più delle sue maestre) o il nostro Caparezza, i pur sopravvalutati Verdena o i White Stripes e il loro Elephant (un Grammy come miglior album alternativo dell’anno), o la rumena Haiducii col tormentone etno-pop Dragostea. Gli altri tirano avanti come possono, a pane, gavetta e fantasia: si chiamino Fiumanò col divertente Ero jazz e non lo sapevo, o Mariano Deidda e il colto tributo a Pessoa, o giovani promettentissimi debuttanti come Damien Rice (un ex musicista di strada che sta sorprendendo tutti col suo notevole O), Gary Jules (eccellente il suo Trading snakeoil for wolftickets) o la bravissima neozelandese Bic Runga, pubblicata da noi con ben due anni di ritardo. Certo oggi si spreca più inchiostro per commentare una qualunque Janet Jackson che per recensire il ritorno di un maestro del soul come Al Green, ma anche questo è ormai tragicamente normale. Così come vedere premiati ai Grammy Awards gente come la Loren, Gorbaciov e Clinton (guarda caso tutta gente appetita dal nostro funambolico Sanremo). Sarebbe po’ come vedere una pornostar in Parlamento, il libro di un calciatore tra i bestseller, un’ex presidente della camera a presentare un trash-show televisivo” Ooops. CD NOVITÀ COURTNEY LOVE AMERICA’S SWEETHEART Virgin Debutto solista per la vedova Cobain: angelica e satanica insieme, si propone come improbabile fidanzata d’America. Ruvidità ed energia non prive di qualche guizzo creativo, ma troppo spesso annegate negli stereotipi rockettari più consunti. AA.VV LE CANZONI DEL CUORE Bmg Sedici cd per quasi duecento canzoni d’amore: una monumentale compilation suddivisa in quattro cofanetti venduti a prezzo speciale: classici memorabili s’alternano a scelte pretestuose, ma spesso obbligate da implacabili vincoli contrattuali. Un sorvolo comunque significativo sui costumi musicalsentimentali degli ultimi quarant’anni.

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