Governo, cambio di strategia necessario

Di fronte al preoccupante andamento dell’attività economica, l’azienda Italia deve prima di tutto guardare in faccia alla realtà. Un'opinione
ANSA/GIUSEPPE LAMI

Immaginate una cooperativa industriale sovraindebitata (come lo è lo Stato italiano), con un grande bisogno di produrre di più per poter meglio ripagare quei debiti, ma incapace di tenere al lavoro tutti i suoi soci, perché alcuni reparti lavorano a ritmi ridotti (le tecnologie sono vecchie, i prodotti costano troppo e non si vendono), mentre il progetto di investimento per avviare un nuovo reparto d’avanguardia non è mai stato realizzato.

La speranza di una svolta arriva con il nuovo direttore, che promette di cambiare radicalmente l’intera filosofia dell’azienda. Il primo segnale del nuovo corso è una serie di dichiarazioni pubbliche contro l’ingiusto trattamento delle cooperative da parte della banche: fanno pagare interessi salati e pretendono di mettere il naso su tutte le decisioni; ma lui non si piegherà ai loro ricatti. Come prevedibile, al momento di rinegoziare con le banche i crediti in scadenza, la cooperativa si ritrova a pagare tassi di interesse molto più alti.

La seconda mossa della nuova gestione è un più generoso programma di aiuti economici ai soci lasciati a casa senza lavoro e in difficoltà economiche. La terza è l’approvazione di un non meno costoso schema di pensionamento anticipato di un gruppo di lavoratori. Alla fine appare chiaro che soldi per gli investimenti ne restano pochi.

Quarta mossa, il blocco della realizzazione di una grande infrastruttura di accesso allo stabilimento, che avrebbe sì impegnato un buon numero di lavoratori, ma che era stata decisa dal precedente direttore sulla base di una logica non condivisa dal nuovo.

Non vorrei qui soffermarmi a discutere se la visione delle cose del nuovo direttore sia migliore o peggiore rispetto a chi lo ha preceduto, ma vorrei porre una domanda più semplice: ci sarà da sorprendersi se poi i dati aziendali dovessero segnalare un peggioramento?

Torniamo, o restiamo, all’economia italiana, che da due semestri vede diminuire, seppur di poco, il Prodotto interno lordo, il che lascia temere un prossimo calo anche dell’occupazione (che tende a seguire le tendenze del Pil, ma con un certo ritardo).

Ad aggravare le cose c’è l’indisponibilità del governo e della maggioranza a riconoscere quanto sta avvenendo, che si trasforma – ahime! – in invettive e in delegittimazione nei confronti delle istituzioni che prevedono un calo, anziché un boom, dell’attività economica, e poi anche in intimidazione verso i dirigenti pubblici che segnalano i pericoli a cui il Paese sta andando incontro.

Non sarà facile tirarci fuori dai guai in cui ci siamo cacciati. Da un lato i titoli pubblici emessi a tassi maggiorati in tutti questi mesi ci costringeranno a pagare ancora per anni interessi più pesanti, per un totale di vari miliardi (ben più dei pur meritori due milioni di indennità parlamentari restituiti ad usi di interesse pubblico!). Dall’altro il rallentamento dell’attività produttiva farà diminuire le entrate fiscali, facendo saltare le previsioni sul disavanzo pubblico. E se per rimettere a posto i conti alla fine saremo costretti a fare una manovra di bilancio correttiva (ossia tagli di spesa e aumenti di tasse), sarà un’ulteriore frenata per un’economia già in difficoltà.

Il primo passo per poter procedere al ripensamento di cui la politica economica italiana ha urgente bisogno è ammettere apertamente quanto i dati statistici dicono in modo sempre più evidente e dove siano da rintracciarne le cause.

 

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