Il giornalista che denuncia i soprusi ai migranti

Hamadou Boulama Tcherno ha visto troppi colleghi andare in prigione per non temere di fare la stessa fine. La sua colpa? Avere denunciato una legge di bilancio che spostava i soldi dal welfare alla sicurezza

Hamadou Boulama Tcherno rischia grosso. Mi fa visitare gli uffici della Alternative Espace Citoyens, un’associazione culturale che gestisce una radio molto seguita, e mi dice: «Il direttore è in prigione». Tre passi. «L’avvocato è in prigione». Quattro passi, un’altra porta. «Il segretario generale è in prigione». E tu? «Sono ancora libero, chissà fino a quando. E pensare che la nostra sola colpa è stata quella di denunciare una legge di bilancio statale che trasportava troppi fondi dedicati al welfare verso le spese militari e “di sicurezza”, in realtà volte solamente a fare contenti gli occidentali per poter continuare a ricevere i sussidi alla cooperazione e allo sviluppo».

L’entrata in materia non è da poco, in questo quartiere di Niamey polveroso e assolato. Tcherno pare calmo, ma nei suoi occhi c’è tristezza e preoccupazione, anche per i colleghi che lavorano con lui: «Siamo controllati peggio dei terroristi, la polizia prima delle manifestazioni fa delle “visite” preventive in questi locali e poi ci impedisce di entrare negli uffici, per evitare che “lavoriamo” coi social».

Perché lo fai? «Sono un militante per i diritti dell’uomo, non lo nego. Forse per via della mia origine. Sono un peuld’una etnia di pastori transfrontalieri, continuamente alla ricerca di pascoli. Ma veniamo discriminati e confinati in posti precisi, mentre noi non abbiamo mai avuto frontiere, nel deserto ci si muove sempre. Venuto a Niamey, sono diventato giornalista, ma non ho smesso di essere un difensore dei diritti dell’uomo. Perciò non mi potevo non interessare dei diritti dei migranti, oggi così calpestati. Difendendo i loro diritti, in realtà difendiamo il diritto internazionale e cerchiamo di far sì che i valori fondanti delle nostre società africane non siano abbandonati e dimenticati».

Alternative offre alcuni servizi, tra cui un’ottima rassegna stampa dei giornali nigerini, cercando sempre di porsi come interlocutore del governo e delle istituzioni internazionali, come l’Oim. Si cerca di interloquire anche con gli eletti, per poter influenzare la politica del governo e del parlamento. «Lavoriamo pure con gli eletti delle città a Nord e a Ovest di Agadez, quelli attraverso cui passano le strade per la Libia e l’Algeria. Visto che la “Nuova frontiera dell’Europa” è stata posta senza nessun rispetto del diritto internazionale qui da noi, noi cerchiamo di sensibilizzare gli eletti locali. Ora l’Europa e il governo nigerino hanno deciso che il flusso di migrazioni verso l’Europa non deve più lasciare Agadez. Così in questo momento c’è un problema di sovrappopolazione nella città, perché la militarizzazione della zona impedisce che vi siano partenze ravvicinate». Cifre? «Nulla di preciso, né dalle organizzazioni internazionali né dal governo. I migranti sembrano diventati fantasmi persi nella natura. Tanto più che, ogni volta che si blocca la via da Agadez per la Libia, i migranti evitano i blocchi, prendendo vie alternative che gli autisti, quasi tutti locali, conoscono meglio dei militari. Spesso si tratta di ex-combattenti, o ex-terroristi, riciclati nel mestiere lucroso di autista nel deserto. Non sanno far altro. Si criminalizzano i migranti, ma coloro che li sfruttano non vengono perseguiti. Con il risultato di una progressiva degradazione della sicurezza. I furti di auto nel deserto sono sempre più frequenti, come gli attacchi di predoni nel deserto. Costa 2500 euro, oggi, un passaggio verso l’Algeria o la Libia, ben più di quanto il governo prometta agli autisti per smettere di fare il loro lavoro. Ci sono altri danni collaterali, come il fatto che la concentrazione di migranti nella regione di Agadez ha portato le maggiori Ong internazionali a venire sul posto: sono ormai esse che drenano i sussidi e i finanziamenti internazionali, con grave danno per le nostre Ong locali. Si diceva poi che la popolazione locale sarebbe stata protetta con il versamento di fondi internazionali, per evitare che cadesse nella rete dei trafficanti di uomini. Ma di soldi ne arrivano pochissimi direttamente alla popolazione, con gravi conseguenze per l’aumento della criminalità».

Mi sembra di capire che coloro che più patiscono della stretta imposta dagli europei e dagli statunitensi siano proprio i migranti. «Senza dubbio. Evitare le strade principali espone i convogli a gravi pericoli, sei alla mercé delle guide, dei terroristi, dei briganti, senza considerare gli incidenti che sono in aumento. E non parlo di quegli autisti che abbandonano il veicolo, con compiacenti amici, con la scusa di andare a cercare soccorsi quando il veicolo cade in panne, senza far più ritorno. E la gente rischia di morire di fame e di sete nel deserto, cosa che accade sempre più di frequente. Il ritrovamento di cadaveri, anche dopo mesi, è ormai quasi quotidiano». Malgrado tutto ciò la gente rischia comunque la traversata? «È gente che non ha nulla da perdere, cerca il colpo di fortuna. Sono senza lavoro, non hanno futuro, e finiscono vittime delle loro fantasie notturne alimentate dai social network e dai media. Ma pochi riescono nell’impresa, la maggioranza fallisce». Si parla di un milione di persone a cavallo della frontiera tra Libia e Niger. «Esagerazioni. La migrazione verso la Libia da noi era una tradizione: si andava a lavorare stagionalmente, tornando poi in patria, una sorta di migrazione circolare che aveva come terminali anche la Costa d’Avorio, il Ghana, la Nigeria. Ora, a causa della crisi economica di questi Paesi e la loro instabilità politica, queste migrazioni circolari tendono ad aumentare verso il Maghreb. Così la sovrapposizione della migrazione verso l’Europa ha creato nuovi scompensi economici nei nostri Paesi».

In Europa il Niger e Paesi limitrofi non godono di buona fama… «Questo è un altro aspetto della nostra discesa all’inferno. L’immagine del Paese è crollata, anche l’Algeria ci tratta da pezzenti e ci rimanda indietro i migranti, spesso ridotti a mendicanti o a prostitute. Anche la presenza di soldati stranieri (per il momento francesi e statunitensi, ma altri sono presenti in modo semi-clandestino, pur tollerato dal governo) è insolita per queste terre e crea scompensi, anche per l’economia indotta dalla loro presenza e dai traffici non sempre leciti che si organizzano attorno alle caserme, da che mondo è mondo. Altra conseguenza, gli accordi di libera circolazione tra Paesi africani, concordati in Tanzania nel 2016, vanno a finire alle ortiche, e così gli accordi di cooperazione. Milioni di nigerini lavorano da sempre nei Paesi frontalieri: ora si rischia che questi Paesi ci rimandino indietro i connazionali lavoratori, incrementando ulteriormente il caos generale. È un degrado generalizzato quello che sta colpendo il Niger e i Paesi limitrofi. Ci sono fasce sempre più ampie della popolazione che rischiano di diventare delinquenti o addirittura terroristi. Guardiamo quel che succede alla frontiera della Nigeria con Boko Haram. E anche a Tillaberi verso l’Algeria, o a Tawa: rapimenti, attacchi all’esercito regolare, ricatti, mafie… tutto si degrada rapidamente».

In questo contesto la Legge di bilancio 2018 è nel vostro mirino: «Sì, perché l’aumento del budget della Difesa è fatta a detrimento dei più poveri, con le spese sociali tagliate per combattere terrorismo e delinquenza: l’ultimo attacco terroristico, se ne è parlato poco, è avvenuto ad appena 40 km da Niamey». Che futuro si può immaginare dopo queste notizie così drammatiche? «La divisione sta entrando nel Paese, si stanno dissotterrando antiche rivalità etniche, politiche e religiose. Con la scusa di combattere il terrorismo si stanno creando alleanze pericolose che risvegliano conflitti secolari tra nomadi, o tra nomadi e sedentari, come sta accadendo a Tillaberi. E le armi aumentano ovunque. Per combattere le ondate verso l’Europa, si arriva addirittura a dire che non debbono più esserci migrazioni anche interne alla regione, ad esempio tra Niger e Burkina Faso, senza sapere che qui spesso e volentieri la gente non ha nemmeno la carta d’identità, esiste solo la “carta di famiglia” che indica le bestie che la famiglia possiede e la località da dove proviene».

Arriveranno i soldati italiani? «Credo di no, non ci sono le condizioni. Ma la collaborazione dei servizi è già attiva. Quello che stupisce di più è la mancanza di lungimiranza nelle politiche europee di sicurezza e di controllo delle migrazioni: si spostano le frontiere, contravvenendo alle più elementari regole del diritto internazionale e del rispetto dei diritti umani, si porta scompiglio nei nostri Paesi, si distrugge la cooperazione internazionale messa in piedi tanto faticosamente (l’accordo di Cotonou del 2000 sembra essere già carta straccia): il ricatto europeo sta nel dire che gli aiuti continueranno solo se cesseranno le migrazioni verso le coste europee, con evidenti tentativi dei governi locali di accattivarsi le simpatie dei singoli Paesi del Vecchio continente, mettendo in atto manovre militari e di sicurezza fuori da ogni legge. Ciò sta riportando le dittature nei nostri Paesi, questa è la verità: gli europei sono contenti di avere questi “uomini forti” che combattono migrazioni e terrorismo, poco importa se per farlo evadono ogni legge. Ma il terrorismo non diminuisce, anzi cresce, le migrazioni diventano pericolosissime, gli aiuti rallentano, la povertà s’incattivisce… Ma in che mondo siamo?

Per non parlare, poi, della concorrenza tra Paesi africani, tra poveri quindi, tra coloro che sono “attenzionati” dagli europei e quelli che invece vengono “disattenzionati”. Senza immaginare – facile profezia – quello che succederà quando l’emergenza sarà calata e le strutture create saranno abbandonate dagli europei, lasciandoci in stato di abbandono e prostrazione. I soldati, senza più soldi, si trasformeranno in banditi e in terroristi, questo accadrà. Questa non è politica, questo è bricolage sulla pelle dei più poveri. Degli indifesi. Diciamolo pure, continua la dominazione coloniale, seppur in forma diversa. Da quella politica a quella economica, e ora a quella della sicurezza. La Francia qui da noi continua a fare il bello e il cattivo tempo: quando un presidente come Mamadou Tanja ha cercato di smarcarsi un po’ da Parigi, offrendo delle concessioni petrolifere ai cinesi, ecco che è stato buttato giù in quattro e quattr’otto da un colpo di Stato, di cui tutti conoscono l’ispiratore ma non lo dicono mai per salvare la propria pelle. E poi Macron viene qui in Niger e resta a mangiare coi soldati francesi all’aeroporto, elogiando il governo, parlando del Niger come di “un esempio di democrazia”, che sa cos’è la distinzione dei poteri».

(per consultazioni, vedi il sito www.alternativeniger.net)

 

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