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Mondo > In punta di penna

GAZA, tutto maiuscole

di Michele Zanzucchi

- Fonte: Città Nuova

Michele Zanzucchi, autore di Città Nuova

Ci mancava la guerra con l’Iran per oscurare definitivamente l’abominio che si sta compiendo nella Striscia. Che lo si chiami genocidio o meno, siamo dinanzi a un chiaro fenomeno di disumanizzazione, perché le vite degli uni e degli altri non hanno più lo stesso valore

Palestinesi sfollati trasportano sacchi di farina lungo Rashid Street, nella parte occidentale di Jabalia, il 17 giugno 2025, dopo che i camion degli aiuti umanitari sono entrati nella Striscia di Gaza settentrionale attraverso il valico di Zikim, controllato da Israele, a nord-ovest di Gaza City. EPA/HAITHAM IMAD

Mentre la guerra in Iran continua senza sosta, mentre le dichiarazioni e gli atti bellici commessi dimostrano la morte cerebrale del diritto internazionale, il ritorno annunciato della legge della giungla, o dell’homo homini lupus, la totale assenza di sana reciprocità tra le parti (se non quella bellica), nella sconfitta cocente della diplomazia, dei diritti umani e delle basilari norme etiche del convivere civile, il sistema mediatico asseconda in massima parte quello politico nell’oscurare in modo assai appariscente i conflitti di Gaza, del Donbass e del Nord Khivu (non parliamo di quelli più piccoli), permettendo ai cosiddetti “forti”, in ogni caso arroganti e sprezzanti, di commettere le peggiori nefandezze belliche senza che la comunità internazionale sollevi un solo dito per mettere fine al massacro.

Aprendo il sesto o settimo fronte della propria guerra contro tutti – oltre a Gaza, c’è da tenere a bada la rivolta negli altri Territori palestinesi, c’è la non ancora finita lotta con gli Hezbollah libanesi, la guerra dello Yemen che raggiunge coi suoi razzi Gerusalemme, e quello tutto interno con i palestinesi-israeliani che sono controllati in modo serrato −, col demonio che secondo la dottrina in voga a Tel Aviv (e a Washington) ispirerebbe solo i nemici e mai il proprio campo, il governo Netanyahu (abituiamoci non solo a distinguere ebrei da Israele, ma anche il governo attuale dallo Stato di Israele tout court) ha centrato anche l’obiettivo di distogliere l’attenzione della comunità internazionale dalla Striscia di Gaza e dalle malefatte che l’esercito israeliano (ormai conosciuto in tutto il mondo come IDF, come fosse una qualsiasi azienda) sta combattendo contro Hamas e i palestinesi tutti.

Un popolo senza diritti, senza poteri, e ormai senza pietà altrui (o pochissima, purtroppo). Dimenticati dall’umanità. La morte quotidiana di bambini e adulti a decine se non a centinaia, la fame che la popolazione della Striscia patisce da mesi, il terrore dei bombardamenti senza più alcun rifugio disponibile, le condizioni igieniche disgustose in periodi di caldo insopportabile… Gaza è ormai il luogo al mondo più simile all’inferno, un lager che Israele, e non pochi dei suoi alleati, vorrebbe svuotare dal suo milione e mezzo di abitanti, che peraltro nessuno vuole, nemmeno tra i Paesi arabi.

Che cosa fa Trump? Una sola sua linea politica è almeno oggi chiara, dopo 6 mesi di presidenza: Make America Great Again, cioè facciamo di nuovo grande l’America, uno slogan sbagliato non solo semanticamente − perché non si può ridurre l’America agli Stati Uniti (i sudamericani e i canadesi sono molto sensibili a questo dettaglio) −, ma anche storicamente − perché quell’aggettivo “grande” nella storia del Nuovo Mondo non vuol dire solo “forte” oppure “potente”, ma soprattutto “buona” e “amata”, come regno della libertà e dei diritti: gli Stati Uniti hanno sempre associato la loro grandezza alla loro generosità −.

Ora, tra dazi, bombe, inganni, menzogne, spacconeria… gli Usa sembrano un Paese allo sbando morale, alla faccia della difesa ad oltranza della “vita”, ma solo all’inizio (aborto) e alla fine (eutanasia), in mezzo facciamo a meno di ogni norma etica. Nel mondo intero, tranne che parzialmente in Europa e negli Stati Uniti, in quello che viene definito “ambito occidentale” Usa è sinonimo sempre più di nemico. Basta fare un giretto in India o in Cina, o ancora nell’RDC, per rendersene conto. Un gran peccato, e una fonte di destabilizzazione per l’intero pianeta.

In tutto ciò, non possiamo dimenticare GAZA (tutto maiuscole, per favore), coscienza sporca di mezzo mondo, in primis di Netanyahu, come ormai dicono anche tanti, ma proprio tanti ebrei nel mondo intero. C’è da chiedersi che cosa avrebbero scritto della guerra di Gaza grandi, grandissimi ebrei come Emmanuel Lévinas (quello che aveva cantato il “volto dell’altro”), o come Martin Buber (il geniale pensatore del rapporto tra “io e te”): come giustificherebbero la diversità del valore della vita di un israeliano o di un palestinese della Striscia? Si schiererebbero dalla parte degli inermi, sempre e comunque.

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