Fiat Chrysler Renault, una fusione strategica

Come si legge, nel contesto dei mutamenti epocali del mercato automobilistico, la possibile nascita di un nuovo colosso industriale? Intervista all’economista Vincenzo Comito

Dopo la recente cessione della Magneti Marelli ai giapponesi della Calsonic Kansei per circa 5,8 miliardi di euro, la Fca (Fiat Chrysler Automobiles) del dopo Marchionne sta lavorando alla fusione con il gruppo Renault. Si annuncia la creazione di un gruppo industriale in grado di vendere oltre 8 milioni di auto all’anno per 170 miliardi di euro di ricavi.

Una svolta epocale nel settore automobilistico che avviene poco dopo la prematura morte del manager italo canadese della Fca e l’uscita di scena, dopo l’arresto, di Carlos Ghosn, artefice della crescita della Renault nonché della vantaggiosa alleanza con la Nissan.

L’operazione sembra incontrare il favore dell’Eliseo, condizione necessaria vista la significativa partecipazione pubblica nel capitale della società automobilistica francese. In maniera indiretta, ma non meno decisiva, si rivela decisivo il via libera dell’amministrazione statunitense che, con la decisione di Obama, è stato all’origine dell’operazione di creazione del gruppo Fiat Chrysler.

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John Elkann, tramite la Exor, finanziaria degli Agnelli, sembra, perciò, doversi rapportare solo con attori esteri, mentre gli effetti della fusione coinvolgeranno comunque le fabbriche italiane, anche se i primi commenti di sindacati e confindustria sono improntati ad ottimismo. Per un’analisi della vicenda abbiamo chiesto il parere di Vincenzo Comito, economista del gruppo di lavoro di Sbilanciamoci, per diversi anni docente di finanza aziendale all’Università Luiss di Roma e all’Università di Urbino.

Come si può leggere la possibile e annunciata fusione Fca Renault?

Per capire il senso dell’operazione, bisogna innanzitutto ricordare cosa sta succedendo in questi anni in generale nel settore dell’auto, settore soggetto a grandi sconvolgimenti.  Intanto, il centro del mercato e della produzione mondiale è passato ormai da qualche tempo dall’Occidente all’Oriente. In particolare, è oggi la Cina il primo mercato e il primo Paese produttore, lasciando a grande distanza gli altri. Le scelte stilistiche come quelle tecnologiche delle case di tutto il mondo partono oggi fondamentalmente da lì, e non essere presente in tale area geografica è una debolezza molto rilevante.

Quali sono le nuove caratteristiche di tale prodotto? 

Teniamo presente, soprattutto, che stanno drasticamente cambiando il prodotto auto e le sue modalità di fruizione. Si va affermando rapidamente l’auto a propulsione elettrica,  sta arrivando anche l’auto autonoma, mentre entrano parallelamente in crisi le motorizzazioni diesel e poi anche di seguito quelle a benzina. Da ricordare che la preminenza tecnologica europea, in particolare tedesca, era basata su queste ormai vecchie tecnologie.

Quale altro cambiamento sta avvenendo nel settore? 

Tende a venir meno l’acquisto delle vetture e ad avanzare l’affitto delle stesse anche, se non soprattutto, a breve termine. Infine, per effetto sempre dell’arrivo di tecnologie sempre più devastanti, una parte consistente del valore aggiunto nel settore sta in effetti passando dalle case dell’auto e dai componentisti ai produttori delle stesse.

Con quali conseguenze pratiche?

Approfittando di tali trasformazioni stanno entrando nel settore con forza pure le aziende digitali cinesi e statunitensi, mentre le novità portano anche a drastici tagli all’occupazione in tutta la filiera. Per tenere dietro a tali cambiamenti sono, tra l’altro, necessari grandi investimenti: si pensi che soltanto nel comparto dell’elettrico sono annunciati impegni finanziari per i prossimi anni di 250-300 miliardi di dollari.

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Come si legge, dunque, la fusione tra i due gruppi automobilistici in tale contesto di grandi trasformazioni?

La “fusione” tra FCA e Renault dovrebbe rispondere almeno in parte a tali mutamenti, ma anche ad altre preoccupazioni. A leggere le cronache, con l’unione tra i due gruppi si creerebbe una nuova entità che, con le cifre attuali, produrrebbe 8,7 milioni di auto all’anno, con un fatturato di 170 miliardi e profitti rilevanti, che deriverebbero tra l’altro da supposte sinergie dall’operazione per almeno 5 miliardi di euro. Con l’eventuale adesione all’accordo anche di Nissan e Mitsubishi si arriverebbe a produrre 15 milioni di vetture, creando così e da lontano il primo gruppo mondiale nel settore.

Sembra una scelta lungimirante per la società controllata dagli Agnelli …

In effetti, bisogna tener presente che FCA non è presente ad oggi, se non marginalmente, sul mercato cinese e asiatico, che non ha investito che pochissimo sulle nuove tecnologie e che ha poche risorse disponibili per farlo, mentre manca dei soldi necessari per investire in certi mercati. Mentre le fabbriche italiane soffrono da diversi anni per la mancanza di vendite adeguate, con una parte rilevante degli occupati in cassa integrazione. Tra l’altro il polo del lusso, con Alfa e Maserati, si è rivelato sino ad oggi un fallimento, in mancanza in particolare anch’esso di investimenti adeguati. Si suppone peraltro che la famiglia Agnelli voglia uscire dall’auto, anche se tale mossa smentirebbe le dichiarazioni ufficiali.

E quale sarebbe il vantaggio per i francesi?

La Renault ha investito di più nel nuovo che sta avanzando e dall’incontro con la FCA ne potrebbe derivare il suo ingresso nel mercato americano da cui la casa francese è oggi assente. Essa potrebbe poi penetrare con più decisione nel mercato dei SUV – mentre attualmente non ha i modelli adeguati per il comparto, che ha invece la FCA –, nonché nel polo del lusso, mentre potrebbe anche accrescere fortemente il suo potere negoziale con i giapponesi della Nissan e della Mitsubishi, che, nell’ambito della loro vecchia alleanza a tre, hanno sino ad oggi rifiutato un’integrazione più stretta.

Come funziona il rapporto della Renault con le due società nipponiche?

La Renault ha una partecipazione azionaria al 43% nella stessa Nissan, ma le regole del gioco giapponesi sono particolari. Gli stessi asiatici non erano stati in ogni caso informati preventivamente dell’operazione. In questo quadro sempre la Nissan, tra l’altro con l’arresto di Ghosn e con la loro preminenza nelle vendite e nei profitti rispetto alla casa francese, nonché con la loro presenza in Cina e in Asia e con i loro rilevanti investimenti in tecnologia, credevano di mettere la Renault nell’angolo. Ma, con questa operazione di integrazione FCA-Renault, sono loro stessi a trovarsi invece in difficoltà e non sembrano avere ora altra alternativa che aderire, sia pure a denti stretti, all’intesa; con quale forma e con quali tempi non appare ancora chiaro.

Non sarà difficile la coabitazione nel nuovo gruppo una volta definita la fusione paritaria tra i due storici gruppi industriali? 

Certo. Ci si può chiedere chi comanderà nel nuovo assetto azionario del gruppo italo-francese (per la verità più che italo ormai da tempo esso è olandese-inglese-statunitense). In teoria è fissato al momento al 50-50. Ora, le situazioni di governo paritario a due di un’impresa, se si guarda alla storia del business, falliscono con il tempo pressoché tutte e un tale assetto non appare credibile neanche in questo caso. Ancora potenzialmente più critiche appaiono le prospettive di governo nel caso in cui Nissan e Mitsubishi si unissero all’alleanza. Ci sarebbe da mettere d’accordo tre governi (oltre a Trump), diversi azionisti importanti e con delle pretese e quattro gruppi dirigenti, oltre che probabilmente degli altri attori.

Qui, la seconda parte dell’intervista (Operazione Fca Renault e lavoro in Italia).

 

 

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