Fermate le armi. Lettera ad Alfano

A due anni dall'inizio del conflitto Amnesty International, Oxfam, Movimento dei Focolari, Fondazione Banca Etica, Opal Brescia, Rete Italiana per il Disarmo,  con il sostegno del missionario Comboniano Alex Zanotelli, scrivono al Ministro degli Esteri
EPA/YAHYA ARHAB

Riportiamo alcuni brani del comunicato congiunto che accompagna la lettera inviata al ministro degli Esteri Angelino Alfano il 24 marzo 2017. Il conflitto nel piccolo e povero Paese della Penisola araba dura ormai dal 26 marzo 2015.

Secondo le Nazioni Unite in 24 mesi di scontri ci sono stati oltre 4.500 morti civili, con oltre 8.000 feriti, e un numero di sfollati che supera i tre milioni. Sempre secondo le strutture Onu sul Paese incombe “un grave rischio di carestia”: quasi 7,3 milioni di yemeniti avrebbero bisogno di un urgente aiuto alimentare e oltre 430 mila bambini soffrono di malnutrizione grave.

Nello scontro tra i ribelli Houti e le forze del presidente eletto Hadi, dal marzo del 2015 è intervenuta con operazioni di bombardamenti, una coalizione guidata dall’Arabia Saudita comprendente i Paesi del Golfo Persico (eccetto l’Oman). Sulle città e paesi dello Yemen sono stati sperimentate da entrambe le parti in causa tecniche militari particolarmente distruttive nei confronti della popolazione civile, come esempio gli attacchi “double tap”, che mirano non solo a distruggere gli obiettivi ma anche di uccidere i soccorritori.

Bloccare l’invio di bombe
Di fronte a questa situazione ormai insostenibile Amnesty International, Oxfam, Movimento dei Focolari, Fondazione Banca Etica, Opal Brescia, Rete Italiana per il Disarmo hanno deciso di scrivere al Ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Angelino Alfano per sollecitare un ruolo positivo dell’Italia nella crisi, che non si limiti solo a lenti passi diplomatici.

Le realtà della società civile, che già da mesi si sono occupate della questione yemenita, si sono dette ancora una volta fortemente preoccupate del fatto che l’Italia stia continuando a fornire all’Arabia Saudita e ai membri della sua coalizione sistemi militari e munizionamento che alimentano il conflitto, nonostante diversi rapporti e notizie attendibili dimostrino le gravi e reiterate violazioni delle convenzioni internazionali su diritti umani e diritto umanitario da parte della coalizione a guida saudita.

«In Yemen si sta consumando una guerra di cui nessuno parla, che finora ha distrutto la vita di migliaia di civili e provocato un disastro umanitario che vede oggi oltre 3 milioni di persone senza alcun rifugio e 2 milioni di bambini che non possono andare a scuola – afferma Antonio Marchesi presidente di Amnesty International Italia –. Nonostante questo, il Governo italiano sta continuando ad autorizzare la fornitura di armi all’Arabia Saudita, violando, a nostro avviso, il diritto nazionale ed internazionale e contribuendo al perpetuarsi delle violenza. È ora di porre fine a queste vendite».

La responsabilità politica
Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Opal e dalla Rete Disarmo lo scorso anno dall’Italia sono state inviate all’Arabia Saudita bombe e munizionamento militare per un valore complessivo di oltre 40 milioni di euro, in crescita rispetto ai 37,6 milioni del 2015. Le spedizioni sono state effettuate dalla provincia di Cagliari e sono riconducibili alla RWM Italia, azienda del gruppo tedesco Rheinmetall, che ha la sua sede legale a Ghedi (Brescia) e la sua fabbrica a Domusnovas, non lontano da Cagliari. Già dal 2015, e dunque a conflitto già aperto e dichiarato, sono state confermate e certificate numerose spedizioni di bombe aeree della RWM Italia dalla Sardegna all’Arabia Saudita, l’ultima probabilmente solo pochi giorni fa.

«Dobbiamo chiedere con forza che la politica italiana dica da che parte vuole stare, se da quella della popolazione civile o dei produttori di armi. E che la 185/90 venga rispettata pienamente nei suoi principi, non solo sulla carta» commenta padre Alex Zanotelli, missionario comboniano.

«Nonostante le migliori intenzioni e le denunce avanzate dai parlamentari presenti al dibattito per un’economia disarmata dello scorso 14 marzo promosso nell’aula dei gruppi parlamentari dal Movimento dei Focolari – affermano i due responsabili per l’Italia Andrea Goller e Rosalba Poli –, la situazione non sembra affatto rientrare tra le priorità del governo e delle forze politiche. Non dare risposte vuol dire lasciare interi territori davanti al ricatto tra lavoro e concorso alla guerra. Occorre perciò una vera riconversione economica».

Stop all’invio di armi verso la coalizione saudita
Al Ministro Alfano le organizzazioni della società civile chiedono di porre fine immediatamente al trasferimento di sistemi militari e munizionamento verso la coalizione guidata dall’Arabia Saudita, per prevenire ogni rischio di commettere o facilitare serie violazioni dei diritti umani in Yemen.

In seno alla comunità internazionale, e valorizzando la presenza dell’Italia nel Consiglio di Sicurezza ONU, occorre inoltre, secondo le associazioni, condannare fermamente l’uso di munizioni a grappolo nel conflitto e fare pressione affinché anche l’Arabia Saudita ratifichi il trattato internazionale sulle munizioni a grappolo, distruggendo quelle che ancora possiede.

Le 6 realtà associative italiane si uniscono a diverse altre organizzazioni internazionali nel sollecitare l’istituzione di una indagine internazionale indipendente per esaminare le violazioni di tutte le parti in conflitto, al fine di assicurare la giustizia, le responsabilità e il risarcimento per le vittime. Promuovendo nel contempo in sede europea l’attuazione della Risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)), che ha chiesto di «avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all’Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell’8 dicembre 2008».

 

 

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