Dove fioriscono le rose

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Rose, rose e ancora rose. Una più bella dell’altra, vera delizia per gli occhi e per l’olfatto (purché non si sia afflitti da allergie!). Arbustive o in miniatura, rampicanti, tappezzanti o striscianti. Apparentemente delicate, eppure capaci di fiorire anche in mezzo ai rigori dell’inverno. Inesauribili per varietà di forme e di colori: tranne l’azzurro e il nero (la cosiddetta rosa nera si presenta in realtà d’un bel rosso cupo), ogni tonalità è rappresentata: dal bianco più immacolato al giallo luminoso, all’arancio, al crema, al rosa, al lilla… I visitatori passano di meraviglia in meraviglia. Osservando, annusando, fotografando. Familiarizzandosi con complicati nomi botanici antichi o con quelli moderni con cui vengono designati nuovi ibridi. È il vero regno di questo fiore coltivato fin dalla più remota antichità, emblema di lussuria e di degenerazione per i primi cristiani, e successivamente invece considerato figura simbolica della Madre di Cristo. Che sia uno dei più bei roseti del mondo, questo di Roma, per quanto non il più esteso, nessuno lo può negare. E ciò soprattutto grazie alla scenografica cornice in cui è collocato: qui le verdi pendici dell’Aventino; di fronte, oltre l’avvallamento del Circo Massimo, i ruderi del Palatino; e poi un susseguirsi di tetti, di cupole barocche, di campanili, a riassumere secoli di storia della Città Eterna. Ma anche il luogo dove esso sorge ha qualcosa da raccontare: sede del cimitero ebraico dal 1654 sino al 1934, con il nuovo piano regolatore quest’area venne trasformata in verde pubblico. Ridotta durante il secondo conflitto mondiale ad “orto di guerra”, tornò nuovamente in auge nel 1950 quando proprio qui venne istituito il nuovo Roseto comunale: in effetti quale migliore destinazione per un luogo ancora sacro agli ebrei romani? Ricordano la passata sua destinazione le stele che fiancheggiano gli ingressi (vi sono raffigurate le tavole della Legge), come pure i viali del settore più grande, progettati a forma di Menorah, il candelabro simbolo dell’ebraismo. In circa 10 mila metri quadrati sono presenti 1200 specie provenienti da tutto il mondo, persino dalla Cina e dalla Mongolia. Qui ogni varietà di rosa avrebbe una sua storia da raccontare, un ulteriore motivo d’interesse che s’aggiunge alla bellezza. “È il caso della varietà “Gioia” – racconta Salvatore Ianni, tecnico rosaista – che, sfuggita per un soffio all’inva- sione tedesca della Francia, durante il secondo conflitto mondiale, venne portata negli Stati Uniti e lì moltiplicata. A guerra finita ornò i tavoli delle delegazioni dei 49 paesi partecipanti alla conferenza di pace di San Francisco. Per questo, nel resto del mondo, è conosciuta come “Peace””. Ancora ci riporta ai tragici eventi della guerra mondiale la “Nozomi”, categoria delle ricadenti o striscianti. “Nozomi – spiega Ianni – è il nome di una bambina giapponese di tre anni, morta di stenti su un treno di profughi che tornavano a casa, due ore prima che il padre, ultimo affetto rimastole, potesse riabbracciarla. Nozomi (vuol dire “Buona Speranza”) ora non c’è più. Qualcuno le ha impedito, appena salpata, di navigare nel mare della vita. A ricordarla c’è ora questa pianta, piccolissima e dai fiori rosa tenero. Ma questa rosa, barlume di speranza, ha l’onere di ricordare tutti i bambini vittime della guerra”. Un’ultima curiosità. Per proteggere le pregiate ospiti dall’assalto degli afidi, i pidocchi delle piante, quest’anno i giardinieri si sono avvalsi di un microscopico esercito di 30 mila insetti “buoni” arrivati appositamente dall’Inghilterra. Anche con accorgimenti del genere questo Eden nel cuore della capitale continuerà a custodire intatto il suo fascino per la gioia e il ristoro di chi vorrà farvi sosta. HA VINTO UNA FRANCESE Il Roseto comunale ospita ogni anno a maggio il prestigioso concorso internazionale “Premio Roma” per nuove varietà di rose. Le varietà partecipanti arrivano qui circa due anni prima della manifestazione, per essere affidate alle cure dei tecnici rosaisti ed infine visionate da una speciale giuria mista, internazionale e locale. Tra i criteri di valutazione, la resistenza della pianta alla malattia, la rifiorenza negli anni, il vigore, il fogliame, il profumo e il carattere di novità. Vincitrice di questa sessantunesima edizione, che ha visto concorrere 122 varietà provenienti da 14 paesi, una elegante rosa francese candida come la neve, opera dell’ibridatore Richardier (foto accanto). Ad essa sono andati addirittura tre riconoscimenti: la medaglia d’oro nella categoria delle Ht (ibrido di rosa tea), quella per la rosa più profumata e il premio dei giornalisti. Altri premi sono andati al Belgio per la categoria delle “tappezzanti” e delle “coprisuolo”, agli Usa per le “miniature”, all’Italia per le “arbustive”, all’Inghilterra per le “rampicanti”, alla Danimarca per la “rosa nera” e ancora alla Francia (i cui produttori sono abilissimi ibridatori) per le rose da parco, con una varietà di color rosa.

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