Debito pubblico: davvero “questa volta è diverso”?

Il rilancio della spesa pubblica previsto dall’ultima legge Finanziaria ripete con parole diverse un copione già visto troppe volte, che rischia di compromettere il nostro futuro. Come i primi effetti già ci confermano, è urgente un cambio di rotta.  

Dopo lo scoppio della crisi finanziaria del 2008 Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff pubblicano un brillante saggio intitolato “Questa volta è diverso” (Il Saggiatore, 2010). Ripercorrendo ben otto secoli di analoghe crisi in vari Paesi i due autori ci aiutano capire come mai ogni volta ci ricaschiamo: la sostanza è sempre un eccesso di indebitamento che assicura grandi guadagni ai finanzieri, mentre l’inevitabile crollo verrà pagato dai risparmiatori e dai contribuenti; le forme tecniche con cui il gioco si ripete, però, sono ogni volta diverse e così ci lasciamo convincere che questa volta non finirà come le precedenti.

Qualcosa del genere mi pare proprio che succeda anche con il debito pubblico. Per i governanti spingere sull’indebitamento è un affare. Distribuendo più soldi di quanti se ne raccolgono si possono accontentare nuove fette di elettori senza doverne scontentare altri: un piccolo capolavoro di conquista del consenso, che sarà prima o poi pagato da qualcuno, il quale però ancora non lo sa.

E per giunta questa spiacevole conseguenza si manifesterà quando in carica sarà un altro governo. Il gioco della “manica larga” è sempre lo stesso. E l’esperienza mostra che funziona: i governanti prudenti e responsabili vengono puniti dagli elettori, mentre gli altri risultano essere molto popolari. Come nel caso del sovra-indebitamento delle banche, quello che cambia di volta in volta sono le giustificazioni che vengono offerte. E così noi ci lasciamo convincere.

Un grande campione del debito pubblico, è stato Ronald Reagan, che nell’America del 1980 tagliò drasticamente le tasse sia sui redditi delle persone (l’aliquota più alta, quella pagata dai più ricchi, fu più che dimezzata) sia sui redditi delle società per azioni.

La giustificazione gliela aveva fornita un economista, Arthur Laffer, secondo il quale abbassando le aliquote di imposta il reddito tassabile sarebbe cresciuto talmente tanto tanto che alla fine l’incasso per il fisco sarebbe aumentato. Il risultato fu che sotto la presidenza Reagan il rapporto tra debito pubblico federale e Prodotto Interno Lordo passò da poco più del 30% ad oltre il 50%.

Nell’ultima tornata elettorale italiana la giustificazione proposta è stata un’altra: che spendendo di più (per quota 100 e per il reddito di cittadinanza) senza aumentare le imposte (anzi, cercando di dar loro una limatina) il volume di attività economica sarebbe fortemente aumentato, così tanto da far diminuire il debito pubblico (in rapporto, come si usa calcolarlo, al Prodotto Interno Lordo). Una prospettiva troppo bella per non risultare attraente. Ma, anche questa volta, troppo bella per essere vera. Tanto più se nel frattempo alcune improvvide dichiarazioni dei leader della maggioranza  diffondevano preoccupazione e incertezza.

Metteteci poi il rallentamento dell’economia mondiale, cosa sfortunata ma tutt’altro che imprevedibile, e si comprende come mai ora ci ritroviamo con i conti pubblici sbilanciati (la stima del deficit pubblico è oggi al 2,4% e continua a salire), con la crescita del Prodotto Interno Lordo azzerata, con il debito pubblico in salita ancor prima che i due maggiori programmi di spesa inizino ad erogare redditi per davvero, e con di fronte a noi una legge Finanziaria per il 2020 ancora più ardua di quella per il 2019.

Anche perché nel frattempo – continua l’emorragia provocata dall’aumento dello “spread”  (lo Stato italiano si trova a pagare interessi maggiorati sul suo debito perché da un anno a questa parte è cresciuto il timore di un mancato rimborso); e il passare del tempo senza intervenire non fa che alimentare il fiotto in uscita.

Mi piacerebbe saper formulare brillanti proposte risolutive, capaci di evitare un progressivo deterioramento della situazione e magari anche in modo indolore; ma purtroppo non riesco a vederne.

Restano due strade, ambedue tutt’altro che facili da percorrere: un netto cambio di rotta dell’attuale governo, che riduca lo sbilancio e – cosa ancora più importante – riconquisti la fiducia degli operatori; oppure un cambio di governo, con una nuova maggioranza disposta a farsi carico del pesante squilibrio dei conti pubblici e della situazione di ristagno economico che si troverebbe ad ereditare, accollandosi il peso politico dei sacrifici necessari.

Se non altro rendiamocene conto.

 

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