Da Enzo a Lucia

Cara Lucia, non ho altro mezzo per rivolgermi a te e ti scrivo una lettera che non leggerai mai. Ma è un modo per stare ancora un po’ con te: quei sessantadue anni sono passati così in fretta e tu eri una ragazza con un cappellino marrone, un golf a strisce grigie e marrone e con una bella faccia pulita… Ora tu mi hai lasciato e poco dopo ti ha seguita anche Anna, la nostra ultima figlia, aveva soltanto quarantasette anni. Ormai buona parte della mia vita – sto giocando i tempi supplementari – è fatta di ricordi. Io mi ritengo un superstite e, per rivivere la nostra storia, non mi rimane che la memoria… Già chi non ha memoria non ha vissuto. Sono come un film montato senza seguire un filo di racconto: basta una goccia che scivola su un vetro, il sorriso di una ragazza, l’odore nauseante dei fiori che marciscono; si pensa alla morte. O a un nome… Nei miei ricordi, per quanto riguarda la cosiddetta vita professionale, non c’è rimpianto; sono sicuro di aver ricevuto più di quello che mi aspettavo. Ho visto il mondo, ho incontrato gente e devo molto al mio prossimo. Ma il destino è stato crudele con me, e mi ha fatto pagare tutto, quando tu ed Anna mi avete lasciato… Adesso, che il sonno non può più consolarmi, voglio parlarti, scriverti questa lettera perché i nostri giorni – miei, tuoi e delle nostre figlie – non vadano perduti, perché la nostra storia e la nostra separazione hanno dimostrato come avesse ragione quel poeta che scrisse : Questo è il dolore della vita: che si può essere felici solo in due. Quando si tratta di scrivere una recensione su un libro di uno dei maestri del giornalismo italiano viene un assoluto rispetto e, per così dire, un senso di vertigine. Risulta più facile però parlare di una sua opera se questa si occupa di una storia d’amore: la sua, quella che per tutta la vita, e anche dopo, lo ha unito alla moglie Lucia. A lei, di recente scomparsa, sono dedicate le emozionanti, intense, a volte poetiche Lettere d’amore a una ragazza di una volta. Biagi, lui stesso forse alle tappe finali del suo percorso, traccia una sorta di autobiografia umana e professionale che si specchia nel rapporto con la moglie e da quel rapporto trae lumi, consiglio e dimensioni. Certo la personalità del giornalista emerge sempre con forza, nella sua indipendenza, nel suo legame con la terra natale, l’Appennino emiliano. I suoi incontri con persone umili o delinquenti come all’inizio della sua carriera di cronista, e poi coi grandi della storia sia italiana che internazionale, hanno per così dire sapori molto simili: un sostanziale rispetto per l’uomo a prescindere da appartenenze, classe o militanza politica. Si avverte inoltre un’assoluta continuità generazionale con l’educazione ricevuta da Biagi: un’educazione che poneva in evidenza aspetti essenziali: C’è una frase che ha segnato profondamente la mia vita: Prima si fanno i compiti e dopo si va a giocare. Io ho giocato pochissimo nella mia vita perché dai 14 anni in poi mi sono praticamente mantenuto da solo. Spiccano le basi morali apprese nella famiglia d’origine e poi trasmesse nella propria: forti, solide, dal sapore vagamente manzoniano come d’altronde i nomi dei protagonisti. Per me era un dovere rispettarti. Dovevamo esserci fedeli non perché fossimo due santi o non ci fossero tentazioni, ma perché ci avevano insegnato che era giusto fare così. In un mondo forse scomparso in cui il dovere veniva sempre prima del piacere, in cui alle donne di casa Biagi (prima la madre, poi la moglie) spettava il compito di far quadrare i conti, a volte con più facilità, a volte, come durante la guerra o dopo coraggiose scelte professionali, molto meno, tutto pareva più duro e invece, agli occhi di un nostro sguardo, tutto era più vero e forte. Da buon giornalista Biagi nasconde ben poco, come quando – raccontando dell’estate del 1943 – riporta gustose e insieme amare pagine dei rapidi cambiamenti di campo intervenuti in molti italiani. Oppure quando descrive i vari momenti alla direzione di importanti giornali italiani con la pressione di editori fieri e decisi, ma allo stesso tempo sensibili ai consigli del potere politico. Delicati e importanti anche i colloqui con Fellini e Montanelli o gli aneddoti sui vari regnanti. Ma forse questo è un Biagi più conosciuto, quello che per tanti decenni ci ha accompagnato nei vari servizi televisivi. Quello che coinvolge e tocca maggiormente in queste pagine è il Biagi privato, anch’esso molto sobrio, che trova sempre la forza nella famiglia per affrontare battaglie difficili. Tu per me sei stata la sicurezza… Mi hai seguito ovunque, mi sei stata vicina in ogni momento e la mia, tu lo sai, Lucia, non è stata mai una vita semplice. Ho spesso avuto contro i politici; sono sempre stato dalla parte di quelli che non vincevano. Ma qualunque decisione abbia preso non ho mai, dico mai, avuto la preoccupazione di chiedermi: A casa cosa diranno Lucia e le nostre figlie ?. Meno sferzante del solito, più pervasa di melanconia, quasi specchio di una più profonda saggezza, più che sintomo di un mancare di energie, l’ultima opera di Biagi si fa leggere con facilità e commozione aprendo a riflessioni pacate e ineludibili. In un’intervista rilasciata alla Rai poche settimane prima di morire, Norberto Bobbio affermava con dolcezza che, nonostante le migliaia di testi e pubblicazioni che aveva scritto nella sua vita, quello che sarebbe restato di lui di vero, d’importante sarebbero stati tutti gli atti d’amore che aveva fatto alle persone più vicine, in particolare alla moglie. La stessa sensazione, lo stesso affetto si respira nella pagine di questo libro che racconta di un amore insieme grande e discreto.

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