Centochiodi

Sono cento i libri preziosi della biblioteca che il custode trova trafitti da altrettanti chiodi. Esterrefatti, l’anziano prete bibliotecario per il quale i libri sono gli unici amici della vita, la polizia che cerca l’autore dell’impresa. Il giovane affascinante professore universitario di Bologna (un Raz Degan convincente), allievo del bibliotecario, di notte fa perdere le sue tracce e si rifugia sulle rive del Po in una casa diroccata. Intorno a questa nuova dimora fioccano storie di amicizia, di vita quotidiana e d’amore tra il professore e gli abitanti locali. Finché egli verrà preso, interrogato, confesserà, sarà rilasciato: sparirà nel nulla. Su questa trama esile, Olmi costruisce il suo dichiarato addio al cinema narrativo. Come in una sintesi estrema, racchiude lucidamente e senza nostalgia i temi suoi più cari: l’amore per la gente di un tempo, umile e sana – si parla qui un dialetto emiliano – , per la natura ritratta nella sua meraviglia di stagioni erbe e luoghi incontaminati di fronte alla violenza dell’assalto della civiltàche ne distrugge la poesia e l’equilibrio, il gusto per un lin- guaggio sobrio ed un periodare scarno, incisivo. Grazie alla fotografia luminosa di Fabio Olmi, al commento musicale di Fabio Vacchi, il racconto si distende come una narrazione apparentemente serena. In realtà, la percorre una inquietudine ricorrente, che diventa drammatica, perché il professore, in definitiva, altri non è che un Cristo tornato fra gli umili, uomo tra gli uomini. Al vecchio prete che gli rimprovera la distruzione di libri, sapienza del mondo, egli si oppone: C’è più sapienza in un caffè preso con un amico che nei libri e risponde citando il vangelo giovanneo: Lo spirito, cioè l’amore, soffia dove vuole; alla minaccia Dio ti giudicherà per questo delitto, ché hai distrutto anche il testo della parola di Dio, risponde durissimo: Ma noi giudicheremo Dio per il suo silenzio davanti alla distruzione. Un grido disperato dell’umanità che si sente abbandonata da Dio. Stordisce questo dramma potente nel linguaggio altrimenti pacato di Olmi, nel mondo virgiliano che lo circonda dove però la civiltà porta morte e il Dio della pace sembra lontano. Suona una campana la Cinema I tartufi tra noi domenica, ma invano, la gente continua il suo lavoro, alla luce si alternano temporali improvvisi e attimi di buio (reale e metaforico). Il fatto è che per Olmi il cuore del Cristo è davvero l’amore per gli uomini: di alta pregnanza il momento in cui un vecchio chiede al professore, che tutti chiamano Gesù Cristo (perché si sono accorti che è lui), di raccontargli la parabola del figliol prodigo. Sembra sia questo il Cristo umile e povero che piace ad Olmi – non tanto quello degli altari e degli incensi -, quello che si può ancora incontrare in un qualsiasi giorno della vita, in qualsiasi tempo e luogo. Ed è la gente anziana – questo è un inno alla vecchiaia serenamente accettata, libera come lo sono i bambini del film – ad avere bisogno di tornare alla verità essenziale, come Olmi, che i questo lavoro si apre senza remore sul proprio percorso umano e spirituale, anche con un fare provocatorio. Come fossero le ultime parole che dice dal cinema. In sala dal 30 marzo. Regia di Ermanno Olmi; con Raz Degan, Luna Bendandi, Amina Syed.

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