Capolavori venuti dai ghiacci

Nel panorama culturale planetario spicca l’originale contributo delle popolazioni artiche canadesi. Visitando il Museo della Civiltà di Québec

Com’è possibile che manufatti appartenenti ad una cultura totalmente estranea alla nostra sensibilità occidentale come quella degli inuit possano toccarci così nell’intimo, alla stregua di una rivelazione? Evidentemente perché non si tratta di prodotti artigianali pur pregevoli, ma in molti casi di autentiche opere d’arte che esprimono valori universali. È quanto suscita la visita, a Québec, della più importante esposizione dedicata a queste popolazioni artiche canadesi: il Museo della Civiltà, che ha sede nella parte bassa di questa città lambita dal fiume San Lorenzo.

E pensare che la “scoperta” di quest’arte è relativamente recente: risale infatti al 1939 la prima esposizione di prodotti artistici del genere, causa di enorme interesse. Nel Museo essa è rappresentata da sculture in legno, osso, avorio, pietra, le cui proporzioni ridotte tradiscono la parsimonia di materiali di un habitat così proibitivo; ma anche da disegni, pitture, incisioni, ricami raffiguranti la quotidianità e le credenze di questo popolo del Nord, un tempo dedito alla caccia e alla pesca… Spesso piccoli capolavori che esprimono in modo toccante una ricerca di relazione tra umano ed extra-umano, frutto di una visione poetica potente ed essenziale al tempo stesso, di una fantasia senza limiti.

Abituarsi al loro linguaggio inconsueto per i nostri canoni estetici è entrare in sintonia con i maggiori artisti inuit. Come Davidialuk Alasuaq Amittu (1910-1976), originario di un villaggio del Nord del Québec, tra i più prolifici scultori contemporanei e grande narratore di storie e leggende tradizionali. Basti un solo esempio a darci un’idea del suo talento: Aurora boreale, soggetto a dir poco insolito per una scultura. Stupisce l’originalità e l’efficacia con cui l’artista ha saputo rendere questo meraviglioso fenomeno connesso, nella cosmologia inuit, al mondo degli spiriti e dei defunti. Realizzata in steatite nerastra, l’aurora boreale vi è raffigurata come un volto enigmatico di donna (lo spirito malefico Kajiutajuk) al di sopra del quale si inarca una linea che si avvolge a spirale su sé stessa: quell’arco luminoso che per alcuni gruppi di inuit rappresentava i giochi dei defunti, per altri invece le torce con cui gli spiriti cercavano i morti per condurli verso il regno della luce e dell’abbondanza. La testa, in posizione decentrata e lievemente avanzata, suggerisce nello spazio vuoto definito dall’arco la vastità e la solitudine dell’orizzonte artico.

Ma a chi si devono creazioni così sorprendenti? Inuit, plurale di inuk, significa semplicemente “uomini” nella lingua di alcuni gruppi indigeni dell’Artico canadese, ed ha sostituito il vecchio termine “eschimese”, a cui per errore è stato attribuito il significato – oggi considerato dispregiativo – di “mangiatori di carne cruda”. Si tende comunque a considerare inuit tutte le popolazioni della regione artica che si estende dalla Siberia orientale alla Groenlandia.

In intima simbiosi con la natura, che concepivano come governata da spiriti e da forze soprannaturali, gli antenati degli attuali inuit ritenevano che ogni essere vivente avesse un’”anima” da rispettare e da propiziarsi. La bellezza dei loro manufatti non era mai fine a sé stessa, ma esaltava la funzione per la quale essi erano stati creati: «come se la forma – è stato detto – avesse acquistato poteri magici per mezzo dell’arte».

A partire dalla metà dell’Ottocento, i contatti con la civiltà occidentale hanno introdotto profonde trasformazioni nell’assetto di vita dei popoli artici, e un distacco dai valori e significati che costituivano i loro punti di riferimento. Solo tra il 1960 e il 1970 il governo del Québec si è fatto più sensibile ai “diritti” degli inuit, che comunque hanno pagato il loro tributo all’influsso occidentale abbandonando il tradizionale nomadismo.

Col riconoscimento delle proprietà delle terre occupate e della loro identità, i decenni successivi hanno aperto agli inuit del Québec e in generale del Canada la via verso l’autogoverno. In particolare, nell’ultimo scorcio degli anni Novanta, all’interno della Federazione canadese sono sorti – rispettivamente a nord del 55° e del 60° parallelo – i due nuovi territori del Nunavik e del Nunavut, abitati in prevalenza da inuit.

Con la loro storia recente, dunque, questi popoli, assieme ai loro “fratelli” della Groenlandia (dal 1979 progressivamente autonomi dalla Danimarca), costituiscono anche per altre etnie un modello per preservare la propria identità. Viene da augurarsi che gli stessi progressi che gli inuit vanno facendo in tale direzione facilitino a queste popolazioni il compito di arricchire il multiforme quadro planetario con la originalità dei loro contribuiti.

 

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