Calabria, una reazione corale

Uno slogan su uno striscione: E adesso ammazzateci tutti , come dire una provocazione lanciata alla mafia da chi ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto. Una manifestazione muta, dietro lo sventolio di lenzuola bianche, innescatasi spontaneamente tra i giovani calabresi della Locride il giorno dopo l’uccisione del vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Questi i dati di una protesta per certi versi inedita, probabilmente impensabile fino a qualche anno fa. Un silenzio assordante seguito ad un delitto che sarà ricordato per la sua efferatezza. Un omicidio che ha fatto scalpore anche perché maturato sullo sfondo del congresso eucaristico celebrato in quei giorni nella diocesi di Locri-Gerace e che ha fatto assumere al delitto i toni di una vittima sacrificale. La ‘ndrangheta ha alzato il tiro, ma il volto di quei giovani ha parlato al cuore della gente più delle parole. In Calabria si è abituati ad assistere a delitti di mafia che purtroppo rimangono impuniti. Ma non è quell’abitudine che non scuote più le coscienze. I calabresi soffrono in silenzio, assorbono il dolore in maniera composta. Una sofferenza che non arriva mai alla protesta esemplare. Del resto, quella inscenata dai giovani, è la manifestazione che più esprime la personalità della gente di Calabria: abituata a stringere i denti, ad andare avanti in mezzo alle mille difficoltà quotidiane di un territorio abbandonato a sé stesso. Ma questa volta quel silenzio ha parlato al resto dell’Italia e, attraverso il vescovo della diocesi di Locri-Gerace, mons. Giancarlo Maria Bregantini, cerchiamo di capire se questa scintilla potrà trasformare il volto di questa terra. Da undici anni è il vescovo di questa terra, come definirebbe i giorni successivi alla morte di Fortugno? Credo che siano stati eccezionali. Sono convinto che la nostra forza sia venuta fuori dall’unità costruita a due livelli: fra i sacerdoti ed il vescovo, e fra il vescovo e la società politica e civile. Un’unità maturata proprio in questa evenienza e che si è espressa con una massiccia presenza al funerale. Se la mia voce è stata ascoltata è perché dietro di me c’è stata la chiesa. Le faccio un esempio: neanche un mese fa sono stati uccisi due contadini, al funerale c’era poca gente ed il parroco aveva già da celebrare due messe. Gli ho chiesto di concelebrare con me: davanti a noi nessuna autorità, niente agenti di polizia, senza un manifesto, solo qualche contadino spaurito. La mafia lì ha vinto due volte. Con l’esperienza di Fortugno abbiamo capito che, da ora in poi, tutti i funerali delle persone uccise dalla mafia dovranno avere una risposta corale, manderò tutti i preti della diocesi. Contro questa gente di mafia dobbiamo rispondere in maniera strategica: al male opporremo il bene con segni di unità. Nella politica ha avvertito qualcosa di nuovo? Si può dire che è stato trapiantato un seme. Le fatiche sono tante, ma il fatto che proprio in questi giorni il governatore della Calabria abbia chiesto le dimissioni di un assessore che aveva assunto nella propria struttura la moglie è una novità. È un ottimo segno, perché a mio avviso il segnale per far compiere ai politici un gesto del genere è venuto dalla base, dalla gente, che gli ha fornito il terreno. Soprattutto i giovani hanno dato una testimonianza toccante… Sono stati la scintilla, adesso tocca a noi: alla classe politica, agli adulti. Non dobbiamo mitizzarli e poi deluderli. Una delle frasi che ho suggerito loro nel mio messaggio d’inizio di quest’anno scolastico recita così: I giovani vedono lontano, io li devo aiutare a vedere chiaro ciò che loro hanno già intravisto ed a rendere visibili le intuizioni che hanno già maturato. Come vede il futuro della Locride? Si avverte un grande desiderio di cambiare che spesso però non è accompagnato dalla forza del cambiamento. Rendo l’idea con un’imma- gine: la società è una pila a cinque elementi che solo uniti insieme fanno scoccare l’energia. Il primo elemento è la spiritualità che, se è vera e matura, produce l’etica, cioè le scelte del bene e del male. Queste due producono la cultura che è modo di pensare e di agire. Tutte e tre fondano la politica che è la capacità lungimirante di produrre e di guidare queste forze di cambiamento. Tutti e quattro orientano infine il quinto elemento che è l’economia. A tutto ciò si deve accompagnare l’azione di uno Stato che sappia fermare il male. Oggi credo che ci si è resi conto che il problema della Calabria riguarda tutta la nazione, perché la ‘ndrangheta ormai non investe solo su queste zone. Crede, dunque, che si sia innescato in qualche modo un processo di trasformazione nella società calabrese? Sì. Il delitto di Fortugno si è consumato mentre era in corso nella nostra diocesi il congresso eucaristico e bisogna leggerlo nella logica del seme che se muore porta frutto. Fino ad oggi la mafia ha giocato sul non amore verso questa terra. Occorre invece amare la Calabria che è poco conosciuta e mal raccontata. Affido al mondo femminile la missione di trasmettere l’amore alla propria terra. Allora le case saranno finite, le strade curate, i circoli culturali attivi, le iniziative imprenditoriali portate a termine. La morte di Fortugno ha costituito per noi una vera conversione: nel rilanciare l’arma della preghiera e del digiuno, nel credere nell’onestà professionale. Potremmo sintetizzare il tutto nella frase di uno degli striscioni dei giovani: Nella notte del tradimento anche la Locride ha dato speranza. Nel suo messaggio a caldo dopo l’omicidio ha rilanciato anche il martirio… È chiaro che se sfidi la mafia la coerenza costa. Per esempio, io ho puntato molto sul creare lavoro per i giovani perché questo li rende liberi di rispondere sul piano etico. In zone come Platì e San Luca siamo riusciti a dare vita a diverse cooperative agricole, dando lavoro a due-trecento persone. Abbiamo dato vita al consorzio Goel che, a sua volta, si è consorziato con il Cgm, che è il più grande consorzio di consorzi esistente in Italia. Inoltre ammiriamo l’economia di comunione e ciò che è nato in Calabria tramite il vescovo di Cassano. Insieme alle loro intelligenze, e grazie alle nostre iniziative, che invece sono nate dal basso, cioè dalla gente, si potrebbe creare una scuola. Ma, tornando al tema del martirio, per vivere in questi ambiti lavorativi occorre coerenza e noi ci siamo molto esposti. In una gara d’appalto una delle nostre cooperative ha subìto delle pressioni mafiose e la mia preoccupazione è che ci possano danneggiare screditandoci. Allora anche questo è martirio, non occorre arrivare al sacrificio della vita

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